Un lavoro abbastanza difficile da definire quello della musicista, cantante ed artista norvegese Jenny Hval. Stiamo sostanzialmente dalle parti di qualcosa che potremmo anche chiamare "avanguardia pop", laddove gli echi che risuonano immediati in questo album sono quelli di Bjork e - soprattutto - Laurie Anderson, nè tuttavia mancano riferimenti ad Einsturzende Neubauten (in qualche modo il titolo è parafrasi del loro "Silence is sexy") o persino ai Liars. Un'opera nel complesso straniante e stimolante, difficile ma - quasi - adatta a tutti.
4) BLACK PUS - ALL MY RELATIONS (thrill jockey)
Ok, vorrei evitare di sparare minchiate - che parlando di musica - di questa musica, poi - è sempre possibile. Ma credo che il trattenersi dalla costruzione intelletual-cazzegiante, dall'elucubrazione panica teleleogicamente fine a se stessa sarebbe ontologicamente contrario allo spirito stesso dell'opera di cui qui si tratta. E via dunque: c'è in mezzo uno dei Lighting Bolt che non mi ricordo come si chiama, la band madre è richiamata ma si sentono echi di U.S. Maple però "espansi" e "tribalizzati" (cosa voglio dire? - che cazzo ne so), un mood complessivo che mi ha fatto pensare ai Butthole Surfers (più svariate cose del catalogo Amphetamine Reptile, ma forse è solo nostalgia canaglia) e un drumming creativo ed onnipresente, vero motore e cifra stilistico del disco tutto. (Ok, previa informazione: il Lightning Bolt in questione è Brian Chippendale, poliedrico batterista guardacaso).
3 - BAUSTELLE - FANTASMA (warner)
Sorprende - ma non troppo - il modo in cui i Baustelle, reduci da quello che è senza dubbio il più brutto album della loro carriera ("I mistici dell'occidente") se ne escano con questo, che se la gioca tranquillamente tra i migliori. Il tutto senza variare più di tanto gli ingredienti dallo scorso episodio: sia in termini strettamente sonori - è ancora Morricone l'influenza più presente - sia come tematiche affrontate - la trasfigurazione mistica del tempo presente. Bianconi e soci riescono a cogliere la luce tnell'ombra e ad emozionarci lavorando sulle sfumature, dosando sapientemente gli stessi elementi che qualche volta - in passato - li avevano fatti deragliare (magari per troppa generosità). Incantevole e nient'altro.
2) - MY BLOODY VALENTINE - MBV (mbv)
Il più atteso e - contemporaneamente - inatteso dei ritorni. Ha prodotto (com'è logico che sia) reazioni contrastanti, oscillanti tra l'assoluto capolavoro e la ciofeca senza redenzione. Io propendo per la prima definizione anche se in verità la statura di capolavoro è qualcosa che solo il tempo può dare. Vero è che - in superficie almeno - pare di ritrovarsi di fronte ad un album degli anni novanta: ci si sentono echi degli stessi mbv all'altezza di "Loveless" e magari anche degli Stereolab o degli Spacemen 3. Eppure - nemmeno per un attimo - mi è parso un disco passatista; tutt'altro. Pare quasi riprendere determinati impulsi dal passato per coniugarli al futuro e non solo prossimo. E comunque ne riparleremo tra vent'anni (sempre sperando di esistere ancora, noi e il nostro pianeta).
1) THE KNIFE - SHACKING THE HABITUAL (rabid)
I fratelli Anderson continuano a stupire - e non mi riferisco solo ai precedenti album a nome The Knife, ma anche a Fever Ray, ottimo side project della sola Karin. Anche prescindendo dalle tematiche socialiste e riferibili anche a concetti (si dice) desueti quali la lotta di classe, il lavoro è splendido proprio dal punto di vista sonoro, infilando una serie di descrizioni magmatiche - tanto gradevoli quanto nervose - sempre sul punto di esplodere - del tempo presente. Prefigurando scenari di nuova resistenza ( che è prima di tutto resilienza) realizza una visione artisticamente forte dell'attuale società, prende posizione e - cosa non da poco - nel descrivere un mondo "crea" un mondo. Prerogativa questa dei più grandi.
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