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mercoledì 5 febbraio 2014

MACABRE (RUMAH DARA) – The Mo brothers - 2009




Kimo Stamboel e Timo Tjahjanto pare non siano veramente fratelli pur firmandosi Mo brothers. Cosa che pare essere un vezzo piuttosto diffuso in tempi recenti (e soprattutto in ambito horror, chissà perché).
Ammetto subito che “Macabre” (titolo internazionale di “Rumah Dara”, chiamatelo un po’ come volete) è il primo film indonesiano che mi capita di vedere, pur essendo – a voler essere precisini – una coproduzione con Singapore (andrebbe citato anche il pluripremiato “The raid” ma io non l’ho ancora visto). Ricordiamo – par incidens -  che l’Indonesia è il più popoloso paese Islamico del mondo, ma è anche un paese con una storia (ed una geografia, invero) assai particolare. Per farvene un idea vi consiglio la visione di quel capolavoro (estremo in più di un senso) che è “The Act of Killing”, ardito mix di documentario ed esperimento sociologico che scoperchia una pagina assai dolorosa e pure violenta della storia di quella nazione. In realtà sarebbe una mezza minchiata volere vedere nell’iperviolenza messa in scena dai fratellini Mo un qualche genere di portato del clima di tensione (è un eufemismo) e generalizzata prevaricazione che la società del luogo ha indubbiamente subito durante gli anni della dittatura militare e che – volenti o nolenti – un qualche segno deve certo aver lasciato. Vero è che la rappresentazione della figura materna come il primum movens dell’orrore in atto un qualche sospetto di transfert di stampo storico potrebbe anche destarlo; tuttavia si peccherebbe certo di sovra interpretazione, se teniamo in considerazione che figure del genere (e situazioni del genere) sono parecchie diffuse ormai a tutte le latitudini e le longitudini.



La pellicola in questione - a livello di trama – non brilla certo di originalità. Per capirci - ed in estrema sintesi – l’idea base è quella di un gruppo di amici (tra i quali fratello e sorella e la moglie – in cinta – del primo) che si trovano ad essere ospitati dalla famiglia di una malcapitata ragazza alla quale hanno dato un passaggio. Si tratterebbe di un mero atto di cortesia senonché la famigliola in questione – composta da madre, due figli più un personaggio obeso che dovrebbe essere un amico di famiglia – ha intenzione di sottoporre la compagnia ad un trattamento tutt’altro che amichevole, essenzialmente a base di accette e lame ben affilate. In definitiva vai per mangiare ma vieni mangiato.



Sarebbe facile adesso – ma anche parzialmente veritiero – parlare adesso di un film che si accoda sulla moda (ormai passata, ma assai diffusa fino a poco fa) del cosiddetto torture porn sulla scia che da “Saw” porta ad “Hostel” infilandoci in mezzo anche derive europee come “Frontieres” o il capolavoro “Martyrs” sino al nostrano “Paura” dei benemeriti Manetti bros. La verità, però, è che “Macabre” ha il buon gusto di mischiare gli ingredienti in maniera abbastanza inedita. Nel film dei Mo brothers infatti i riferimenti sono anche altri, in primis (ed è persino un’ovvietà a guardare la trama) “Non aprite quella porta” film padre di ogni famiglia seriamente disfunzionale e con tendenze antropofaghe che si rispetti. La differenza con il capolavoro di Hooper sta soprattutto nel fatto che nel film asiatico la famiglia è essenzialmente matriarcale (malgrado alcune presenze maschili – tutte comunque sottomesse alla madre-padrona). E in verità abbiamo anche un elemento occulto – non approfondito ma ben presente ed intuibile – per cui si arguisce che i torturatori protagonisti di “Macabre” praticano in effetti una sorta di sacrificio umano a scopo rituale con lo scopo (ottenuto, peraltro) di mantenersi giovani malgrado l’oramai più che secolare età. Cosa curiosa questa, che pare strizzare l’occhio – almeno per lo spettatore occidentale – al mito della contessa Bathory e a tutta la pletora di film che al fascinoso personaggio sono stati nel tempo dedicati, ma senza l’ovvio sottotesto sessuale in essi implicito. Sempre sfruculiando nel calderone delle (vere o presumibili) influenze troviamo – quasi come fosse una spezia – una sfumatura di J horror; dal punto di vista squisitamente visivo è infatti possibile intravedere nel look delle diaboliche virago che si vogliono pappare gli sventurati viaggiatori qualcosa delle varie Sadako & co. , poco più – per intenderci – di una sorta di riferimento visivo a quella “tradizione incrostata nel dolore” (definizione coniata all’istante, perdonatemi) che sempre o quasi caratterizzò la stagione di “The Ring”, “The Grudge” ecc..


Al netto di ogni influenza va però considerato che qui il tasso di gore è veramente alto, la suspense è ben gestita e tiene fino in fondo, procurando qualche sano brivido anche in noi spettatori che a queste cose dovremmo essere più che avvezzi. Pare che il film sia stato bandito in Malesia: qualcosa dovrà pur significare.




IL MAGNANI dice: 7,5

                                                                                         Trailer
 
 


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