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venerdì 23 novembre 2012

FROGS - George Mc Cowan /1972



Con “Frogs” entriamo in un terreno assai particolare – non ci limitiamo ad addentrarci in quel immenso arcipelago costituito dal filone eco-vengeance (o eco-revenge, che dir si voglia), del quale peraltro il film in questione costituisce probabilmente uno dei primissimi esemplari in ordine cronologico: c’è chi lo identifica come il secondo dopo “Gli uccelli” di Hitchcock. L’importanza del film va poi anche oltre il messaggio ecologista che, pur non essendo all’epoca un argomento così diffuso, non va equivocato, trattandosi in effetti di puro pretesto per lo scatenamento delle forze naturali – rimanendo comunque e  indubbiamente espressione inconscia di una forte (e giustificata – oggi possiamo dirlo) paura per gli effetti collaterali di un progresso economico e scientifico visto come mostro in crescita e senza controllo.
In realtà l’importanza di “Frogs” è per me del tutto personale e poco importa il fatto che le mie considerazioni in merito troveranno ben pochi disposti a condividerle: qui si entra in un campo al di là del bene e del male, un campo dove l’oggettività soccombe ed è un sentire soggettivo ed “inconscio” (perdonate il ricorrere di questo termine) a divenire metro estetico totalizzante. Posso registrare un’analogia tra la palude infestata di serpenti, rane ed ogni genere di rettili ed anfibi nella quale si ambienta il film e quello che era il sottobosco delle televisioni private più o meno locali che infestava l’etere nei primi anni ottanta – prima della normalizzazione benpensante imposta da un imprenditore che – anni più tardi – diventerà anche presidente del consiglio. Parlo – per chi non lo sapesse – di un’offerta televisiva radicalmente selvaggia (e totalmente free, essendo il concetto di pay tv ben lungi dal veder la luce) in cui tra pubblicità artigianali e televendite d’ogni sorta s’inseguiva ogni immaginabile film – preferibilmente di genere  - e senza lesinare sesso e violenza [ non mancavano poi quintalate d’animazione giapponese e fondi di barile di serie tv americane]. Ora – in tutto questo ben di dio (o forse di satana – come prima o poi qualcuno avrebbe insinuato) c’erano pellicole che – vuoi per caso, vuoi per maggiore frequenza di trasmissione o vuoi per un’inquietante serendipità – si incontravano veramente tante volte. Ed ogni volta era come la prima – quantomeno per lo sguardo bambino di chi  ansiosamente cercava di scoprire il mondo assorbendo – un po’ a cazzo di cane ammettiamolo – tutto quel che si parava innanzi.  Entriamo pertanto nel territorio dell’irrazionale; quel territorio per capirci in cui non esistono errori e coincidenze ma solo intenzioni nascoste e pulsioni celate. Rivedere oggi – a distanza di tanti anni – le stesse immagini, della stessa palude, delle stesse rane e degli stessi serpenti non posso dire mi faccia lo stesso effetto ( e vabbè – ci mancherebbe – avrò avuto quattro anni) ma mi richiama alla mente perfettamente quella antica  sensazione: mi fa pensare – in definiva -  che la repulsione che in genere ogni persona prova per un certo tipo di animali vada ben oltre l’esperienza vissuta o l’apprendimento di determinate regole sociali ma tragga il suo fondamento da una sorta di coscienza collettiva che definisce le persone ancor prima della nascita. Mi rendo conto di addentrarmi in un terreno minato e che – anche nell’ipotesi avessi le competenze per farlo – non sarebbe questa la sede ideale per esaminarlo. Però non posso farci niente: la mia prima visione “adulta” di “Frogs” mi ha indotto certi pensieri. E, in qualche modo a riprova di ciò, cito il fatto che oggi – almeno in maniera cosciente e razionale rettili ed anfibi non mi spaventano più di tanto ed anzi trovo la loro osservazione piuttosto interessante. Eppure tutto il disgusto è ancora li – nello sguardo del  bambino – che forse, chissà – è pronto a risorgere come una fenice se messo di fronte all’inaspettato (e le apparizioni dei rettili possono esserlo, si sa).



Dopo questo tentativo di auto psicanalisi veniamo a parlare del film. Il tutto è ambientato su un isola non specificata [ma comunque in territorio statunitense, e non molto lontano dalla terraferma] ricca di paludi e vegetazione nonché – ca’ va sans dir – di fauna. Qui lo studioso Pickett Smith (Sam Elliott) gira con la sua canoa scattando foto finché non viene travolto da un motoscafo occupato da due dei nipoti del ricco Jason Crockett (Ray Milland, unico nome veramente noto di tutto il cast). Per scusarsi i due, fratello e sorella, invitano Smith a casa del nonno dove tutta la grande famiglia si prepara per i festeggiamenti del 4 luglio. L’atmosfera è però via via guastata dagli anomali comportamenti degli anfibi (soprattutto le rane) e dei rettili (serpenti di tantissime razze – e non sono un erpetologo ma qualche dubbio di attendibilità scientifica viene… ma chissenefrega dopotutto) che si moltiplicano a dismisura, diventano invadenti (ottima la scena del pitone, o quel che è, appeso al gigantesco lampadario) e poi anche aggressivi rivelando un’astuzia diabolica nel far fuori uno dopo l’altro gli occupanti della lussuosa magione. Com’è facile intuire i personaggi vengono sterminati  – eliminati dai vari tipi di animale e con varie metodologie: da quelle più semplici e violente come il morso del serpente velenoso o l’assalto di un alligatore a quelle più indirette come l’indurre un malcapitato a morire soffocato dalle esalazioni dopo aver versato vari flaconi di una sostanza tossica – solo apparentemente in modo incidentale – dentro una serra.
Ad accompagnare il body count assistiamo a varie scene d’ambientazione familiare – che vedono il confronto tra l’anziano patriarca, uomo intelligente ma assai rigido, gli altri membri della famiglia (alcuni sinceramente affezionati, altri molto più venali) e lo studioso – immancabile cassandra in ogni eco-revenge – pronto ad avvertire gli astanti del pericolo che corrono. Pericolo che – va da sé – ha natura “ecologica”, derivando, in sostanza, da anni ed anni di indiscriminato spargimento di veleni. La conclusione vede i pochi superstiti abbandonare l’isola ,ad esclusione di Crockett, deciso a rimanere fino all’ultimo. Il finale – splendidamente ambiguo – lascia presagire che la “follia delle rane” abbia preso piede in un territorio ben più vasto rispetto a quello dell’isola. Il tutto ottimamente accompagnato dallo straniante commento sonoro di Les Baxter. Curioso poi notare che l’edizione italiana ometteva brevi scene di dialogo, recuperate poi nel dvd.     
Il mio parere su “Frogs” è largamente positivo e non poteva essere altrimenti viste le implicazioni affettive di cui sopra; certo si può obiettare che il film è parecchio statico, che “non si vede niente”, che il soffermarsi sui rapporti familiari serve solo ad allungare il brodo, eccetera. Anche facendo sforzo di obiettività mi pare però che qui ci troviamo di fronte ad un film in cui ad importare è l’atmosfera e che l’indugiare sulle dinamiche familiari sia efficace – dia al tutto quel tocco di decadenza in più – a metaforizzare – volontariamente o meno – una vecchia concezione del mondo che finisce per soccombere insieme ai giovani che si candidano come eredi, di fronte al portato di un peccato originale che il progresso porta con sé – ovvero lo stupro sistematico della natura – inteso come “atto dovuto” – ma rispetto al quale prima o poi viene presentato il conto. Aggiungo poi – infine – che la confezione “cheap” rimane quella più adatta per l’ “eco-revenge” che in caso contrario rischia di perdere specificità per mischiarsi nel calderone del cinema avventuroso mainstream – insomma quello che dico (ma mi rendo conto che lo condivideranno in pochi) è che è meglio “Frogs” de “Lo Squalo”. Amen. 
                                                         trailer
  
IL MAGNANI dice: 7,5                      
 

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