Con
“Frogs” entriamo in un terreno assai particolare – non ci limitiamo ad
addentrarci in quel immenso arcipelago costituito dal filone eco-vengeance (o
eco-revenge, che dir si voglia), del quale peraltro il film in questione
costituisce probabilmente uno dei primissimi esemplari in ordine cronologico:
c’è chi lo identifica come il secondo dopo “Gli uccelli” di Hitchcock.
L’importanza del film va poi anche oltre il messaggio ecologista che, pur non
essendo all’epoca un argomento così diffuso, non va equivocato, trattandosi in
effetti di puro pretesto per lo scatenamento delle forze naturali – rimanendo
comunque e indubbiamente espressione
inconscia di una forte (e giustificata – oggi possiamo dirlo) paura per gli
effetti collaterali di un progresso economico e scientifico visto come mostro
in crescita e senza controllo.
In realtà
l’importanza di “Frogs” è per me del tutto personale e poco importa il fatto
che le mie considerazioni in merito troveranno ben pochi disposti a
condividerle: qui si entra in un campo al di là del bene e del male, un campo
dove l’oggettività soccombe ed è un sentire soggettivo ed “inconscio” (perdonate
il ricorrere di questo termine) a divenire metro estetico totalizzante. Posso
registrare un’analogia tra la palude infestata di serpenti, rane ed ogni genere
di rettili ed anfibi nella quale si ambienta il film e quello che era il
sottobosco delle televisioni private più o meno locali che infestava l’etere
nei primi anni ottanta – prima della normalizzazione benpensante imposta da un
imprenditore che – anni più tardi – diventerà anche presidente del consiglio.
Parlo – per chi non lo sapesse – di un’offerta televisiva radicalmente
selvaggia (e totalmente free, essendo il concetto di pay tv ben lungi dal veder
la luce) in cui tra pubblicità artigianali e televendite d’ogni sorta
s’inseguiva ogni immaginabile film – preferibilmente di genere - e senza lesinare sesso e violenza [ non
mancavano poi quintalate d’animazione giapponese e fondi di barile di serie tv
americane]. Ora – in tutto questo ben di dio (o forse di satana – come prima o
poi qualcuno avrebbe insinuato) c’erano pellicole che – vuoi per caso, vuoi per
maggiore frequenza di trasmissione o vuoi per un’inquietante serendipità – si
incontravano veramente tante volte. Ed ogni volta era come la prima –
quantomeno per lo sguardo bambino di chi
ansiosamente cercava di scoprire il mondo assorbendo – un po’ a cazzo di
cane ammettiamolo – tutto quel che si parava innanzi. Entriamo pertanto nel territorio
dell’irrazionale; quel territorio per capirci in cui non esistono errori e
coincidenze ma solo intenzioni nascoste e pulsioni celate. Rivedere oggi – a
distanza di tanti anni – le stesse immagini, della stessa palude, delle stesse
rane e degli stessi serpenti non posso dire mi faccia lo stesso effetto ( e vabbè – ci
mancherebbe – avrò
avuto quattro anni…) ma mi richiama alla mente perfettamente quella antica sensazione: mi fa pensare – in definiva - che la repulsione che in genere ogni persona
prova per un certo tipo di animali vada ben oltre l’esperienza vissuta o
l’apprendimento di determinate regole sociali ma tragga il suo fondamento da
una sorta di coscienza collettiva che definisce le persone ancor prima della
nascita. Mi rendo conto di addentrarmi in un terreno minato e che – anche
nell’ipotesi avessi le competenze per farlo – non sarebbe questa la sede ideale
per esaminarlo. Però non posso farci niente: la mia prima visione “adulta” di
“Frogs” mi ha indotto certi pensieri. E, in qualche modo a riprova di ciò, cito
il fatto che oggi – almeno in maniera cosciente e razionale rettili ed anfibi
non mi spaventano più di tanto ed anzi trovo la loro osservazione piuttosto
interessante. Eppure tutto il disgusto è ancora li – nello sguardo del bambino – che forse, chissà – è pronto a
risorgere come una fenice se messo di fronte all’inaspettato (e le apparizioni
dei rettili possono esserlo, si sa).
Dopo
questo tentativo di auto psicanalisi veniamo a parlare del film. Il tutto è
ambientato su un isola non specificata [ma comunque in territorio statunitense,
e non molto lontano dalla terraferma] ricca di paludi e vegetazione nonché – ca’ va sans dir – di fauna. Qui lo studioso Pickett
Smith (Sam Elliott) gira con la sua
canoa scattando foto finché non viene travolto da un motoscafo occupato da due
dei nipoti del ricco Jason Crockett (Ray
Milland, unico nome veramente noto di tutto il cast). Per scusarsi i due,
fratello e sorella, invitano Smith a casa del nonno dove tutta la grande
famiglia si prepara per i festeggiamenti del 4 luglio. L’atmosfera è però via
via guastata dagli anomali comportamenti degli anfibi (soprattutto le rane) e
dei rettili (serpenti di tantissime razze – e non sono un erpetologo ma qualche
dubbio di attendibilità scientifica viene… ma chissenefrega dopotutto) che si
moltiplicano a dismisura, diventano invadenti (ottima la scena del pitone, o
quel che è, appeso al gigantesco lampadario) e poi anche aggressivi rivelando
un’astuzia diabolica nel far fuori uno dopo l’altro gli occupanti della
lussuosa magione. Com’è facile intuire i personaggi vengono sterminati – eliminati dai vari tipi di animale e con
varie metodologie: da quelle più semplici e violente come il morso del serpente
velenoso o l’assalto di un alligatore a quelle più indirette come l’indurre un
malcapitato a morire soffocato dalle esalazioni dopo aver versato vari flaconi
di una sostanza tossica – solo apparentemente in modo incidentale – dentro una
serra.
Ad
accompagnare il body count assistiamo
a varie scene d’ambientazione familiare – che vedono il confronto tra l’anziano
patriarca, uomo intelligente ma assai rigido, gli altri membri della famiglia
(alcuni sinceramente affezionati, altri molto più venali) e lo studioso – immancabile
cassandra in ogni eco-revenge – pronto ad avvertire gli astanti del pericolo
che corrono. Pericolo che – va da sé – ha natura “ecologica”, derivando, in
sostanza, da anni ed anni di indiscriminato spargimento di veleni. La
conclusione vede i pochi superstiti abbandonare l’isola ,ad esclusione di
Crockett, deciso a rimanere fino all’ultimo. Il finale – splendidamente ambiguo
– lascia presagire che la “follia delle rane” abbia preso piede in un
territorio ben più vasto rispetto a quello dell’isola. Il tutto ottimamente
accompagnato dallo straniante commento sonoro di Les Baxter. Curioso poi notare che l’edizione italiana ometteva
brevi scene di dialogo, recuperate poi nel dvd.
Il mio
parere su “Frogs” è largamente positivo e non poteva essere altrimenti viste le
implicazioni affettive di cui sopra; certo si può obiettare che il film è
parecchio statico, che “non si vede niente”, che il soffermarsi sui rapporti
familiari serve solo ad allungare il brodo, eccetera. Anche facendo sforzo di
obiettività mi pare però che qui ci troviamo di fronte ad un film in cui ad
importare è l’atmosfera e che l’indugiare sulle dinamiche familiari sia
efficace – dia al tutto quel tocco di decadenza in più – a metaforizzare –
volontariamente o meno – una vecchia concezione del mondo che finisce per
soccombere insieme ai giovani che si candidano come eredi, di fronte al portato
di un peccato originale che il progresso porta con sé – ovvero lo stupro
sistematico della natura – inteso come “atto dovuto” – ma rispetto al quale
prima o poi viene presentato il conto. Aggiungo poi – infine – che la
confezione “cheap” rimane quella più adatta per l’ “eco-revenge” che in caso
contrario rischia di perdere specificità per mischiarsi nel calderone del
cinema avventuroso mainstream – insomma quello che dico (ma mi rendo conto che
lo condivideranno in pochi) è che è meglio “Frogs” de “Lo Squalo”. Amen.
trailer
IL MAGNANI dice: 7,5
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