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mercoledì 19 dicembre 2012

p(o)etando 3: RUDERI

RUDERI

Nel primo rudere
Domenica pomeriggio gennaio sushi
Il tramonto crea giochi di luce intorno
le pareti di vetro dell’amministrazione a riposo
  riflettono campi e case di campagna
  erba corta che già intuisci esploderà dopo il gelo.

Dietro la collina
-         fin troppo piena d’alberi per essere veramente ciò che sembra
il sole si porta via ogni mia sicurezza,
ogni mia finzione d’artista.
Le pareti divelte dall’imbrunire
le tegole pendenti ai lati .
E il mio appuntamento per la sera non mi rassicura per niente.
Quello che lei potrebbe concedermi ora lo so
non mi salverà dal freddo.

Ancora per alcuni minuti ascolto le voci nel vento
              [ e già trovandomi ridicolo: non ti commuovo per quanto sono sensibile ?
                 quindi niente figa, e nemmeno mi amerai per sempre]
La paura di essere solo o di più di essere niente mi guarda in faccia.
Le lacrime dei morti si trasformano in risate. E rido anch’io per qualche attimo.

Quel che cerco veramente è forse tanto semplice da non riuscire a dirlo.
Tanto facile da sembrarmi impossibile.
Traiettorie parallele e obbligate che non si incontrano mai.
Solo il vento forte ogni tanto ne trasporta il suono.

Nel secondo rudere
in un sogno io e mio nonno  - sul vecchio divano
aspettiamo la morte in visita
ma il nostro silenzio per stavolta l’inganna.
E sfinito mi arrampico mani e piedi sui gradini altissimi.

Isabella sulla specchiera
non sa comunicarmi nulla di buono.
Metto da parte le sue avventure
e mi trovo presente (ma invisibile forse)
a spiare denigratorie conversazioni su di me.

E mi scopro stupido e minorato
in bocche altrui.
Essere lì dovendo far finta di non sentire
è un senso d’impotenza che a tratti
si ripresenta ancora.


Nel terzo rudere
confondo immagini di studenti in camice bianco
e armadietti di ferro.
Mi allontano triste e così impreparato
                       alla primavera che arriva.
E così fuori è buio da più di due ore
 e i miei amici mi aspettano per il ritorno.
Scherziamo tutti ma è chiaro che qualcosa non va.

Uscito dai corridoi
che non sanno di storia, ma di vecchio
abbandonato il giallo dei neon che imbibisce
il linoleum del pavimento
accolto dai lampioni che mostrano la polvere
nell’aria gelida.
Per un attimo prima di salire in macchina
l’angolo più buio del parcheggio mi fissa.

Smetto di chiedermi muto
Che sarà di me ?
E vuoto appoggio il culo sul sedile posteriore.

Vorrei tornare a casa mi dico ho troppa paura.
Ma in quel momento compresi che la mia vecchia casa non esisteva più.

Forse un giorno chissà quando ne avrò una nuova.
Vagando per anni tra i ruderi.                            


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