Chissà
perché tanti siti internet riportano – in merito a questa ingiustamente
misconosciuta pellicola – il giudizio – ultra negativo va da sé – del centro
cattolico di cinematografia[1]:
forse perché è uno dei pochi giudizi reperibili sul film e forse anche perché
non è così semplice trovare la vecchia VHS che rappresenta l’unico supporto
che - a quanto mi consti – sia diffuso in
terra italica. Se a ciò aggiungiamo che il titolo italiano è lo stesso di un
altro film (del 1988) le difficoltà non fanno che aumentare. Non è il caso di
lasciarsi scoraggiare però perché “Werewolves on wheels”(il titolo originale è
bellissimo – quindi meglio usare questo) ha rappresentato – almeno per me – una
gran bella sorpresa che – ritengo – non mancherà di intrigare gli appassionati
del cinema anni settanta, in particolare chi apprezza l’horror più eccentrico
anche se – inevitabilmente – afflitto da scarsi mezzi economici ed effetti
speciali ai limiti del fatto in casa.
Il
film di Michel Levesque (noto come regista in pratica solo per “La notte delle
salamandre” – noto si fa per dire, chiaramente – più attivo come scenografo –
collaborò anche con Russ Meyer e non sembra un caso) ha il coraggio – che poi
sia del tutto involontario rileva fino a un certo punto – di riprendere
l’estetica di “Easy rider”, e ancor di più dei suoi tanti prodotti
d’imitazione, e infilarci dentro una trama horror buttata lì un po’ a casaccio
ma piuttosto efficace. Finendo in qualche modo per fare da apripista ad altri
film (di ben maggiore importanza) come – soprattutto – “Non aprite quella
porta” o anche a fumetti di natura “ibrida” quali “Ghost Rider”. In realtà i
sapori che si sentono sono quelli del film “on the road” nella sua accezione
più exploitation, aromi che sanno in tutto e per tutto di anni 60 e 70, riportando alla mente pellicole cult
quali “Zozza Mary pazzo Gary”, “Angeli dell’inferno sulle ruote” o varie opere
di Russ Meyer. Protagonista assoluto del film di Levesque è un gruppo di
motociclisti – soggetti decisamente borderline che si muovono al confine della
legge – vivendo il gruppo come una sorta di tribù nomade, in cui tutto ciò che
è esterno viene costantemente sbeffeggiato quando non sottoposto a furti ed
angherie varie: le psicologie dei personaggi sono decisamente scolpite con
l’accetta e ben si adatterebbero ad un western di serie B (magari anche uno
spaghetti western) e dopotutto anche il paesaggio desertico aiuta in questa
facile similitudine.
manifesto italiano |
Ad
emergere, all’interno di un gruppo di cazzoni e mignotte, sono fondamentalmente
tre personaggi: il capobanda Adam (Stephen Oliver), duro, razionale e – tutto
sommato – ben organizzato; Helen (D.J. Anderson), la donna del capo,
decisamente più avvenente (ed anche più intelligente) delle altre donne della
gang ma irrimediabilmente attratta dalla violenza (“mi aiuta a sentirmi viva”
ammette); abbiamo poi lo sciamano Tarot (Gene Shane),cartomante ,come si
intuisce dal nome , sostanzialmente disinteressato all’altro sesso, ma in grado
di captare le presenze negative che incombono sui suoi amici.
La
routine da professionisti della vita alternativa che i bikers conducono si
spezza nel momento in cui questi si trovano a campeggiare vicino ad una strana
chiesa. Il loro bivacco è interrotto da un gruppo di frati incappucciati che
riescono a coinvolgere Helen in un loro rituale che – intuiamo – non è
precisamente di ispirazione cristiana. Al risveglio i nostri valenti hell’s
angels non ricordano nulla e si riavviano sulla loro strada; così tra un
litigio, una sbronza ed un presentimento di sventura cominciamo a trovare
motociclisti morti in circostanze misteriose e tragiche. Sin quando si palesa
che ad ucciderli è proprio un lupo mannaro (truccato in modo artigianale ma
apprezzabile) che si cela in mezzo al gruppo assumendo le sembianze ferine
(ovviamente) solo di notte.
Si
può tranquillamente ammettere che la trama è piuttosto elementare ma ricca di
elementi inusuali a partire proprio dall’allucinante gruppo di frati satanisti
e dalla commistione tra licantropia e motociclette. Quello che però rende
“Werewolves on wheels” un film da apprezzare è la stupenda atmosfera ,che ben
mischia le dinamiche del gruppo -
decisamente in stile western – con una propensione alla perversione ed al misticismo
d’accatto – che - onestamente – scalda
il cuore. Non mancano poi momenti di puro cazzeggio e cameratismo nonché scene
cult – in particolare la danza di Helen col serpente durante il rituale che le
dannerà l’anima. Il tutto a dar vita ad
un insieme caratterizzato da una sorta di “acidità statica” – perdonatemi il
termine ma non saprei dirlo diversamente – che ha il sapore dei sogni devastati
da alcol e droga ma da cui – incredibilmente – ci si risveglia rigenerati.
trailer
il film (sopra) e la musica (sotto)
IL MAGNANI dice: 7
[1] Il film,
specie di scommessa sulla possibilità di mettere insieme elementi assai
disparati, potrebbe essere una presa in giro se ne possedesse l'umorismo
adeguato. Assurdo, noioso e risibile, brilla unicamente per la negatività delle
scene.
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