10) WHITE HILLS - WALKS FOR MOTORISTS (Thrill jockey)
Gira e rigira la neo psichedelia di un qualche tipo finisce sempre per riaffacciarsi. Tra gruppi sfacciatamente passatisti ed altri riattualizzatori, tra chi guarda più ai sixties, chi più al prog, chi al kraut-rock. I White Hills sono dei passatisti che non lo sembrano affatto (come i Moon Duo - tanto per citare una band che avrebbe potuto stare benissimo in questa playlist). In quest'album sembrano strizzare l'occhio ad un suono con possibili venature hard ma ci infilano - come di consueto - tutte le loro influenze, non disdegnando new wave ed elettronica. Questioni di gusti personali e di fragili equilibri, ma il risultato mi parve ottimo.
9) HEROIN IN TAHITI - SUN AND VIOLENCE (Boring machines)
Sarà meglio andare al di là delle etichette - anche se New Weird Italia o Italian occult psichedelia suonano bene davvero. Per il tipo di musica che fanno, quest'album degli Heroin in Tahiti può ben definirsi un successo ed è anche piuttosto meritato. Gran parte del fascino di queste musiche - site in un'ipotetica terra di mezzo tra ambient, sonorizzazioni, field recordings, exotica e (ancora) psichedelia - sta nel contenere all'interno un altissimo numero di suggestioni, sempre mai del tutto digerite (lo intendo come un pregio). I brani sembrano esplorazioni caleidoscopiche di parti più o meno frequentate di inconscio collettivo - e si lasciano affascinare da ogni possibile suggestione, rivelando pur sempre una profonda unità ed un senso persino epico del quadro d'insieme. Da qualche parte tra i primi Orb e i mortiferi porno-esotici di Joe D'Amato.
8) A PLACE TO BURY STRANGERS - TRANSFIXATION (Dead oceans)
Già erano risultati convincenti - parecchio - in passato ed in particolare penso ad 'Exploding head', tuttavia mi pare che la band di New York qui faccia un passo ulteriore e - per così dire - si classicizzi. Il suono perde forse qualcosa in agressività e le influenze rimangono fondamentlamente sempre quelle, cioè shoegaze e new wave a paccate. L'eleganza dell'insieme è davvero notevole e - pur trattandosi di un disco 'di canzoni' viene anche difficile privilegiare un pezzo piuttosto che un altro (Straight ? Fill the void ? ma sono suggestioni momentanee). A tratti fanno pensare alle migliori pagine dei National o dei Girls against Boys. Grandi.
7) FATHER JOHN MISTY – I LOVE YOU, HONEYBEAR (Bella union/Sub pop)
Ok qui devo ammettere che ha giocato molto l'effetto sorpresa - si perchè dal folksinger americano Josh Tillman - che non conoscevo anche se ha suonato la batteria per un po' con i Fleet Foxes - che per di più adotta un siffatto nom de plume mi aspettavo all'incirca una divagazione sul tema del folk rock cantautorale più o meno intimista: non ci sarebbe stato nulla di male e magari mi sarebbe anche piaciuto. Però davvero Father John Misty mi ha stupito, il suo è un album di pop rock sontuoso e letterario come pochi. Un disco di 'americana' lo definerei - il tentativo di mettere sul piatto la (re)invenzione della mitologia musicale di un paese-continente, in parte inventando, in parte mischiando carte magari anche un tantino logore. Certo non sono più gli anni '60 e quest'album forse non sarà paragonabile a 'Music from big pink'. Ma che importa, è bello comunque.
6) MARINA AND THE DIAMONDS - FROOT (Atlantic)
Il fatto che Marina and the Diamonds (non proprio un gruppo, in verità è la stessa Marina che si chiama Diamandis è gioca con l'ascendenza greca del suo cognome) incida per una major fa capire che su di lei ci sono 'grandi progetti'. Ed in effetti sin dagli esordi poteva sembrare una perfetta via di mezzo tra certe stravaganze pop che ogni tanto saltano fuori da chissà dove (qualcuno si ricorda l'ottimo progetto Nite Jewel ? - per dire) e 'robba grossa' tipo Lady Gaga. Una Lady Gaga per raffinati verrebbe da dire. E il tutto rimane vero ancora oggi, ma per avere un quadro completo bisogna infilarci anche un po di Lana (Del Rey). La differenza la fanno le canzoni che sono spesso belle e talvolta anche molto. Ma quando si parla di pop mainstream tutto si fonda sui gusti personali e - appunto - per me Froot è stato davvero un ascolto piacevole, da ripetersi più e più volte.
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