Serve dire che sono in ritardo? Serve dire che sarebbe ragionevole pensare a questo blog come ad un'entità morta e sepolta o - perlomeno - inutile?
No che non serve. E poi della sua inutilità ne sono sempre stato convinto - ma è inutile il 99% delle cose che trovate su internet (beh, forse esagero - in effetti i siti porno una loro utilità ce l'hanno).
Comunque intendo esercitarmi ancora con le mie playlists di film e musica - con la consueta avvertenza che parlo solo di quanto ho in effetti visto e/o sentito e che è uscito - in Italia - durante l'anno 2015. Un esercizio parziale e autoindulgente ne convengo. Superfluo e - proprio per questo - anche piacevole.
10) FURY - David Ayer
Il paragone coi bastardi senza gloria di Tarantino sorge abbastanza spontaneo e non solo per la presenza di Brad Pitt. Forse però David Ayer guarda più a Peckinpah e alla sua antiretorica (specie nella 'Croce di ferro' ma anche dei western, certo). Non tocca i livelli degli archetipi ma funziona e anche molto bene. Il rapporto simbiotico macchina-uomo emerge qui molto più che in altri film di guerra. E proprio qui direi sta il punto: non si celebra l'aereo di un top gun e - meno che mai - l'asettica attitudine omicida di un drone qualunque - qui si narra della necessaria simbiosi tra un manipolo di uomini abbruttiti dalla guerra e un bestione rugginoso. Un film appassionante e crudo dove emerge chiaramente quanto sia labile il confine tra eroismo e follia - dominato dal grigio - si sente quasi in bocca il sapore del ferro (arrugginito, ovviamente).
9) CRIMSON PEAK - Guillermo Del Toro
Non mi pare sia stato adeguatamente apprezzato questo nuovo film di Del Toro - eppure possiede varie frecce al suo arco (e alcune si permette persino di tenerle nelle faretra). Il regista messicano - questo è chiaro ed è un merito enorme - non vuole essere un nuovo Tim Burton (anche perché quello vecchio basta e avanza ed è dalla fine del secolo scorso che non ne azzecca una) ma guarda decisamente alle fonti, ovvero alla Hammer e al gotico italiano e spagnolo. Ne esce un'opera decisamente e totalmente di genere, in grado di appassionare senza bisogno di troppi spaventi artefatti. Presenta inoltre una cura per il dettaglio che appare tanto filologica da permettersi anche il lusso dell'originalità. Funziona e diverte - ed è ben più sovversivo di come potrebbe apparire a prima vista.
8) IL RACCONTO DEI RACCONTI - Matteo Garrone
Mi ero proposto di metterci un film italiano - non per forza, chiaramente, ma se l'avessi trovato all'altezza. Poteva starci anche Suburra, ma in fin dei conti quello riattualizza una tradizione del nostro cinema. Il fantasy di natura esplicitamente fiabesca invece ha ben pochi antecedenti nel nostro paese (mi vengono in mente le fiction del buon Lamberto Bava - Fantaghirò e similari, ma con un target decisamente più infantile). Garrone ha il merito di pescare nella tradizione fiabesca italiana (napoletana, in particolare visto che 'Lo cunto de li cunti' di Giambattista Basile è proprio scritto in napoletano) realizzando un film visivamente imponente in grado di rievocare tanto Fellini e Monicelli (almeno per le sue incursioni medioevali), quanto il gotico di Bava e Mastrocinque (e cito proprio Mastrocinque perché il suo 'Un angelo per satana' rimane ad oggi un coacervo di sensazioni 'paniche' ad oggi non adeguatamente valutato e il fim di Garrone me lo ha ricordato) ad arrivare alle recenti serie tv come 'Il trono di spade' e 'Once upon a time' (il cui successo ha certamente aiutato la produzione del film). Bello ed enigmatico, come si conviene. Portatore di sensazioni che durano ben oltre la visione.
7) DHEPHAN - UNA NUOVA VITA - Jacques Audiard
Lasciamo da parte la fetenzia dei tanti commentatori italiani per cui - a quanto pare - il festival di Cannes è una sorta di succursale dell'expo e l'unica cosa di cui parlare sono i film italiani e il fatto che ricevano o meno premi. Audiard non ha smarrito la retta via come in molti hanno detto. La palma d'oro non so dire se è meritata (non avendo visto tutti i film in concorso) ma di certo non può essere semplicemente considerata una sorta di premio alla carriera. Audiard era e rimane un regista di noir. Può mascherare i suoi film da romantiche storie d'amore con disabili (come nel precedente e splendido 'Un sapore di ruggine e ossa') o - come in questo caso - da racconti sull'immigrazione e il disagio urbano. Ma i suoi personaggi sono sempre della stessa pasta - perdenti incattiviti che si aggrappano alle poche speranze che trovano in giro - gente che gioca con le carte che si trova in mano - bluffando qualche volta. Dheepan è Rambo, né più né meno. Un reduce sconfitto che si aggrappa al poco che gli rimane. Prova a ricostruire qualcosa ma la violenza lo verrà comunque a cercare. E - proprio come Rambo - non conviene farlo incazzare. Non fatevi ingannare dai preconcetti - guardate questo film e provate a non fraintendere.
6) CALVARIO - John Micheal McDonagh
Il precedente film di McDonagh si intitolava (in Italia) 'Un poliziotto da happy hour'. Era un poliziesco di quelli belli davvero, con un protagonista (sempre un ottimo Brendan Gleeson) ottimamente caratterizzato. Qui invece si affronta il tema della pedofilia nella chiesa cattolica e lo si fa in una prospettiva nerissima e cupa. Padre James è una brava persona, prima di diventare prete ha avuto anche una figlia che adesso è piuttosto depressa, presta servizio in una parrocchia irlandese dove praticamente la fede non è altro che vuota apparenza a celare un corollario delle perversioni più disparate o semplicemente di un disinteresse figlio della disperazione e della noia. In confessione viene minacciato di morte da parte di una persona che da giovane aveva subito abusi sessuali da un prete. Padre James è totalmente innocente e - pur riconoscendolo - sceglie comunque di non denunciarlo e di non scappare, meditando solo un autodifesa a cui non crede fino in fondo. Se Jim Thompson avesse sceneggiato un film di Bresson forse sarebbe uscita fuori una cosa così.
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