RUDERI
Nel
primo rudere
Domenica
pomeriggio – gennaio – sushi –
Il
tramonto crea giochi di luce intorno –
le
pareti di vetro dell’amministrazione a riposo
riflettono campi e case di campagna
erba corta che – già intuisci – esploderà dopo il gelo.
Dietro
la collina
-
fin
troppo piena d’alberi per essere veramente ciò che sembra –
il sole si porta via ogni mia sicurezza,
ogni mia finzione d’artista.
Le pareti divelte dall’imbrunire –
le tegole pendenti ai lati .
E il mio appuntamento per la sera non mi rassicura per
niente.
Quello che lei potrebbe concedermi – ora lo so –
non mi salverà dal freddo.
Ancora per alcuni minuti ascolto le voci nel vento
[ e già
trovandomi ridicolo: non ti commuovo per quanto sono sensibile ?
quindi niente figa, e nemmeno mi amerai
per sempre]
La paura – di essere solo o di più – di essere niente – mi guarda in faccia.
Le lacrime dei morti si trasformano in risate. E rido
anch’io per qualche attimo.
Quel che cerco veramente è forse tanto semplice da non
riuscire a dirlo.
Tanto facile da sembrarmi impossibile.
Traiettorie parallele e obbligate – che non si incontrano mai.
Solo il vento forte – ogni tanto – ne trasporta il suono.
Nel secondo rudere –
in un sogno io e mio nonno
- sul vecchio divano –
aspettiamo la morte in visita –
ma il nostro silenzio per stavolta l’inganna.
E – sfinito – mi arrampico mani e piedi – sui gradini altissimi.
Isabella sulla specchiera
non sa comunicarmi nulla di buono.
Metto da parte le sue avventure
e mi trovo presente (ma invisibile forse)
a spiare denigratorie conversazioni su di me.
E mi scopro stupido e minorato
in bocche altrui.
Essere lì – dovendo far finta di non sentire –
è un senso d’impotenza che – a tratti –
si ripresenta ancora.
Nel terzo rudere
confondo immagini di studenti in camice bianco
e armadietti di ferro.
Mi allontano triste e così impreparato
alla primavera che arriva.
E così fuori è buio da più di due ore
e i miei amici mi aspettano per il ritorno.
Scherziamo
tutti ma è chiaro che qualcosa non va.
Uscito
dai corridoi –
che non
sanno di storia, ma di vecchio –
abbandonato
il giallo dei neon che imbibisce
il
linoleum del pavimento –
accolto
dai lampioni che mostrano la polvere
nell’aria
gelida.
Per un
attimo – prima di salire in macchina –
l’angolo
più buio del parcheggio mi fissa.
Smetto
di chiedermi – muto –
Che
sarà di me ?
E – vuoto – appoggio il culo sul sedile
posteriore.
Vorrei
tornare a casa – mi dico – ho troppa paura.
Ma in
quel momento compresi – che la mia vecchia casa non
esisteva più.
Forse
un giorno – chissà quando – ne avrò una nuova.
Vagando per anni – tra i
ruderi.