n.6 – Ritorno a Berlino – Paolo Morales/Davide De Cubellis
Un albo di spionaggio è un piccolo evento in casa
Bonelli, infatti una serie (o anche una miniserie) tutta incentrata sullo
spionaggio è sempre mancata, anche se il genere ha in effetti fatto capolino,
nelle più svariate forme, nelle collane dedicate ad altri personaggi e in
modalità – per così dire – laterali (ad esempio: Mister No, Martin Mystere,
Saguaro)
‘Ritorno a Berlino’ ha un titolo che spiega già
sufficientemente l’ambientazione, mentre la trama ruota intorno ad un giovane
reporter che rischia la vita trovandosi invischiato in un intrigo che si
dipanerà poco a poco, coinvolgendo anche un vecchio agente segreto ed una serie
di eventi accaduti nel 1989, giusto all’epoca dell’arcinota caduta del muro.
La particolarità di quest’albo è che si tratta
dell’ultimo fumetto realizzato da Paolo Morales, qui in veste di sceneggiatore
ma noto anche come disegnatore (lo ricordiamo, per esempio, in Martin Mystere
ma anche in numerose storie ‘libere’ sui periodici Eura, dove rivelava uno
stile grafico scarno ma – a parer mio – espressivo ed intrigante). I disegni
sono, invece, di Davide De Cubellis già attivo in coppia con lo stesso Morales
in varie storie del detective dell’impossibile ma noto, soprattutto, come
copertinista dell’ultima stagione di John Doe (ma ha anche disegnato lo
storyboard del ‘Racconto dei Racconti’).
Per quanto dispiaccia dirlo (visto che parlo di un autore
scomparso e che ho anche apprezzato, in varie circostanze) questo ‘Ritorno a
Berlino’ non mi ha entusiasmato: mi è parsa un po’ la somma di tante
suggestioni tipiche della spy story (quella più adulta, poco o niente a che
vedere con 007) inserite in una trama forse eccessivamente semplice per non
apparire un tantino scontata, anche se quel fondo di atmosfera malinconica che
permea tutto il racconto garantisce comunque una sua tenuta e godibilità
complessiva. De Cubellis funziona a dovere e il suo tratto, senza fronzoli e
con linee parecchio ‘squadrate’ ricorda abbastanza quello del Morales
disegnatore (ed è un complimento, neanche piccolo).
[6+]
n.7 – La pattuglia – Fabrizio Accatino/Giampiero
Casertano
Ci troviamo qui catapultati in piena guerra del Vietnam.
La pattuglia del titolo è rappresentata da un manipolo di uomini che – sotto la
guida del capitano Artz ha il compito di recuperare, in piena giungla
vietnamita, un gruppo di soldati scomparsi tanto tempo prima dai quali è
arrivata una richiesta di aiuto via radio, facendo così sperare che siano
ancora vivi. Il racconto si struttura sostanzialmente su due filoni narrativi
che si compenetrano: le dinamiche di gruppo nell’ambito della missione fra
persone tra loro anche molto diverse e la discesa nell’incubo nel cuore della
giungla che – inevitabilmente – tinge di horror la vicenda, riecheggiando anche
suggestioni Conradiane.
Fabrizio Accatino è uno sceneggiatore (anche autore di
programmi per radio e tv) che ha lavorato soprattutto per Dylan Dog (con
risultati buoni) e qui dà un’ottima prova (non originalissimo il soggetto va
detto, ma davvero ben gestito a livello di sceneggiatura). Per quanto riguarda
Casertano si potrebbe replicare il discorso già fatto per il numero uno - resta uno dei migliori disegnatori sulla
piazza e per una storia dotata di atmosfere così ‘opprimenti’, tra il grottesco
e l’inquietante, non si potrebbe chiedere di meglio.
[7]
n.8 – Amore nero – Gigi Simeoni
Il commisario De Vitalis – già apparso ne ‘Gli occhi e il
buio’, pluripremiata precedente fatica dello stesso Simeoni – deve indagare
sulla morte di Francesco, fratello della moglie Ada. Le cose non sono però
tanto semplici e – a complicare la situazione – si immettono influssi nefasti
in cui un’anima in pena intrappolata nell’aldilà si affaccia, disperata, sul
mondo dei vivi.
Diciamo subito che Gigi Simeoni è un autore da tenere
sempre d’occhio. Ai tempi il suo contributo alla tanto osannata (forse troppo,
secondo me) serie ‘Hammer’ è stato certamente tra i migliori e più degni di
nota; i suoi recenti contributi a Dylan Dog mi paiono come alcuni degli episodi
significativi di una serie che – malgrado il tanto decantato nuovo corso –
fatica ancora a trovare una sua (nuova)
identità; questo poi per tacere dei suoi ‘romanzi grafici’: a partire dal già
citato ‘Gli occhi e il buio’ per arrivare al notevole ‘Stria’ – davvero in
grado di sorprendere soprattutto per la scelta delle ambientazioni e delle
tematiche, oltre che per uno stile grafico d’impostazione ‘popolare’ ma
raffinato, dotato com’è di un dosaggio dei tratteggi e dei neri molto suggestivo
ed in grado (per una serie d’associazioni mentali) di evocare ricche tradizioni
che vanno dal bonelliano classico (io ci vedo addirittura qualcosa di Bignotti)
alla historieta degli anni ’70, ai migliori tascabili erotici.
A livello d’ambientazione anche ‘Amore nero’ funziona
(parliamo di Milano, nei primi anni del XX secolo) ma – in tutta onestà – è
l’insieme narrativo a scricchiolare parecchio. In altri termini risulta tutto
un po’ troppo ‘semplice’, come se – ad un certo punto – ci si fosse accorti che
lo spazio a disposizione era troppo poco e si fosse provveduto ad adattare il
tutto ad un racconto che cede troppo ai luoghi comuni e – in definitiva – al
risaputo. Ed è forse la prevedibilità il principale limite di quest’albo. Va
però anche detto che la delusione nasce dal fatto che le aspettative erano
davvero molto alte.
[5,5]
n.9 – Mexican standoff – Diego Cajelli/Matteo Cremona
Non sono poi molte le storie delle Storie (scusate il
bisticcio ma mi piaceva) ambientate nel presente ma dopotutto il bello di
questa collana sta proprio nella possibilità di spaziare da un numero all’altro
in qualsiasi epoca ed in qualsiasi genere. Logico che prima o poi si sarebbe
arrivati anche ai giorni nostri, per di più con un racconto in grado di
miscelare, senza stridori evidenti, il poliziesco – per così dire ‘di
frontiera’ - a base di narcotrafficanti messicani e forze di polizia intenti a
reprimerli (una sorta di neo western, per molti versi) con la fantascienza a
base di alieni. Per non rivelare troppo mi limiterò a dire che la vicenda
prende le mosse da un uomo che viene ritrovato – nei pressi della frontiera,
appunto – da alcuni contadini messicani; pur essendo visibilmente ferito egli è
vivo e le sue lesioni risultano curate in maniera piuttosto misteriosa. Da qui
si aprono le porte per il ritorno di un passato che è fatto tanto di violenza
criminale quanto di presenze ben più misteriose e di origine non propriamente
terrestre.
Taglio subito la testa al toro dicendo che non ho amato
quest’albo anche se sulla carta avrebbe avuto tutte le carte in regola per
piacermi. Diego Cajelli è un ottimo sceneggiatore, sempre attento a realizzare
commistioni originali, le sue prove bonelliane sono - in linea di massima –
convincenti (tranne per Zagor, dove secondo me non è riuscito particolarmente
bene) ed anche le sue creazioni
(partendo da Pulp Stories e Randall Mc Fly per giungere sino a Long Wei) sono
spesso notevoli nell’abbinare un sostenuto ritmo narrativo con la fusione di
elementi piuttosto inediti, almeno nell’ambito del fumetto popolare italiano
(si veda in particolare una certa attenzione per le arti marziali). Allora
cos’è che non va? Difficile dirlo, forse che qui la peculiarità del soggetto
appare un tantino troppo ‘a tesi’ e poco
sentita, poco viscerale – ma in realtà sto solo tentando di razionalizzare una
sensazione provata a pelle – mi rendo ben conto di pormi nell’aleatorio campo
del ‘mi piace/non mi piace’ e che quindi il mio giudizio lascia il tempo che
trova (beh, in verità succede anche negli altri casi, ma qui è più evidente)
però il punto è che ‘Mexican standoff’ ha tutto quello che serve a convincermi
eppure questo non succede, anzi mi lascia freddo e persino annoiato.
Rimane da dire che le tavole di Matteo Cremona (già al
lavoro su John Doe e David Murphy 911 – più recentemente su Orfani) sono come
al solito ottime e risultano parecchio funzionali all’atmosfera polverosa
(anche nel senso della polvere da sparo) di quest’albo.
[5]
n.10 – Nobody – Alessandro Bilotta/Pietro Vitrano
Un racconto di pirati con delle premesse classiche ma
sempre piuttosto interessanti. Già il titolo (che poi è anche il nome del
protagonista) rimandano palesemente all’Ulisse omerico e tutta la narrazione
prende in qualche modo le mosse dalla figura di un personaggio che è tutt’altro
rispetto a ciò che appare. Nobody si presenta niente più che come un pazzo ed
un ubriacone o almeno è così che tutti lo considerano. La realtà è ovviamente
molto diversa e questo signor nessuno si rivelerà ben presto non solo un
archetipo dell’avventura ma una vera e propria guida attraverso questi stessi
archetipi. Alla ricerca di un tesoro nascosto incontrando mostri marini, navi
pirata e isole misteriose.
L’intento ad imbastire un omaggio all’avventura in quanto
tale è sin da subito evidente e questo ispirerebbe una certa simpatia e
complicità; a me è parso però che Bilotta abbia voluto strafare, abbia messo
insomma troppa carne al fuoco senza darsi il tempo e lo spazio di cuocere gli
ingredienti a dovere. A mio parere in una storia del genere (dove la trama può
appassionare ma non certamente stupire) è l’empatia coi personaggi ad avere un
ruolo fondamentale, empatia che qui io devo ammettere di non aver sentito. Quello
che penso è che forse ci sarebbero volute molte più pagine per far emergere il
pathos del racconto ed andare oltre il semplice omaggio citazionista – oppure
molte meno pagine (una dozzina, per dire) e limitarsi ad una simpatica
strizzatina d’occhio.
Pietro Vitrano devo ammettere che ha un tratto che
incontra poco il mio gusto, ci vedo un eccesso di neri e di tratteggio forse
non adattissimo per un’ambientazione marinara. È comunque promettente e – per
quanto mi riguarda – già le sue prove successive le ho gradite molto di più.
[5]
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