5) LEVIATHAN - Andrei Zvyagintsev
Alcuni anni dopo 'Il Ritorno', Zvyagintsev se ne esce con un film ancora migliore (e il fatto che non abbia vinto premi così importanti come il precedente non vuol davvero dire niente). Leviathan ha il sapore del racconto biblico, filtrato però da una sensibilità che di religioso ha ben poco - soprattutto se la religione si esprime tramite l'istituzione della chiesa. Kolia vive nella Russia del nord, il sindaco è seriamente intenzionato ad espropriagli la terra dove sorge la sua casa. Poco importa che il sindaco sia corrotto, perchè la corruzione è ovunque, ogni potere ne è infetto - quelli terreni - esecutivo, legislativo, giudiziario e quello religioso a dare manforte e a suggellare il tutto. L'amico avvocato che viene da Mosca per aiutare Kolia, con una causa legale, potrà fare ben poco (e in verità riuscirà a peggiorare la situazione). Non c'è redenzione - l'unica ricompensa del tanto aver sofferto pare essere l'oblio. Un film da consigliare ai tanti fascistelli fan di Putin che paiono ammorbare i nostri tempi asfittici.
4) THE LOBSTER - Yorgos Lanthimos
In quale animale vorresti reincarnarti ? Magari non un'aragosta - ma poi perchè no? Sceglie a caso l'afflitto protagonista di questa distopica pellicola - o meglio: le motivazioni ci sarebbero anche ma bastano pochi secondi a smontarle - una scelta originale, certo, ma una scelta del cazzo in definitiva. Ma esistono scelte giuste? O c'è solo una rosa di scelte tutte altrettanto sbagliate? Lanthimos sembra propendere per quest'ultima ipotesi. Descrive una società nella quale chi si ritrova single è tenuto a trovare - entro un certo tempo - un'anima gemella (e per farlo viene 'ricoverato' in appositi istituti) pena la reincarnazione in un animale a propria scelta. Il protagonista del film (interpretato da un dolente Colin Farrell) infatti gira sempre con un cane che altri non è che suo fratello. Chi non riuscisse nell'intento di 'fidanzarsi' potrebbe scappare ed unirsi ad una sorta di resistenza single nella quale però ogni rapporto sentimentale è vietato. La metafora è fin troppo scoperta, la libertà necessaria ai sentimenti per germogliare davvero è l'unica cosa che ci è vietata in una società che ci vuole felici (per forza/per finta). Il tutto funziona (ogni tanto persino diverte - ma si tratta di humor nero) ed ha il sapore amore della fantascienza d'altri tempi: quella che parlandoci del futuro ci mostrava come eravamo già
3) THE BABADOOK - Jennifer Kent
Samuel ha 6 anni, Amelia - sua madre - è vedova: suo marito morì in un incidente accompagnandola all'ospedale proprio per la nascita di Samuel. Samuel vede i mostri: niente di male, apparentemente, è solo un bambino più fantasioso e sensibile di tanti altri. Naturalmente dietro la facciata di comprensione Amelia si trova spesso sola e non ha davvero nessuno a cui chiedere aiuto quando non ce la fa più. Come se non bastasse uno dei mostri di cui suo figlio insiste a parlare ha la brutta pensata di esistere davvero e di perseguitarla. Ma esiste davvero o è il frutto della mente della stessa Amelia, per la quale una semplice situazione di stress si sta lentamente trasformando in qualcosa di peggio?
Babadook ha il pregio di rimanere nell'ambiguità ed il pregio ancor più grosso di suscitare nello spettatore una sensazione di forte disagio che perdura a lungo. In fondo si parla di istinto omicida per i propri figli - una cosa tanto enorme quanto in definitiva 'normale'. Jennifer Kent ha avuto il merito di affrontare il rimosso - o per dirla in altri termini di 'guardare nell'abisso'. E il merito ancor più grande di farlo con un film horror - che rimane tale dall'inizio alla fine.
2) MAD MAX: FURY ROAD - George Miller
Un ritorno a questi livelli immagino non se lo aspettasse proprio nessuno. Mad Max è indubbiamente il precursore di tutto o quasi il cinema (ma anche il fumetto - si pensi a Ken il Guerriero - uno dei suoi figli più noti) post-apocalittico; quindi si, aveva tutti i diritti di tornare a dire la propria - ma porca puttana questo film spacca - dall'inizio alla fine. E non ci sono altri modi per dirlo, credo. La trama vede - in breve - il racconto di come l'imperatrice Furiosa (una grande Charlize Theron) si ribelli al despota Immortan Joe, decidendo di rapire un gruppo di sue future concubine per portarle in un luogo lontano - dove poter avere la speranza di una vita diversa rispetto a quella che sarebbe stata loro riservata nella 'cittadella' - luogo in cui le persone non esistono come individui ma -
fondamentalmente - solo come ingranaggi per il mantenimento di un'oligarchia. Inutile dire che Max (qui interpretato da Tom Hardy - ormai uno dei più grandi attori contemporanei) si troverà a spalleggiare il gruppo di donne (a cui si unisce - controvoglia - un giovane militare) in questa fuga disperata. Un western del futuro, pieno di trovate splendide e appassionante come pochi altri action movies. Imprescindibile.
1) SICARIO - Denis Villeneuve
Kate (Emily Blunt) è un'agente del FBI, viene arruolata dalla CIA per scortare alcuni narcotrafficanti dal Messico agli USA. Nel corso dell'operazione avrà modo di scoprire fatti sui metodi usati che la faranno seriamente dubitare del suo ruolo, mentre emergerà con sempre maggiore chiarezza la posizione di Alejandro (Benicio Del Toro) - apparentemente una sorta di 'guida' o di 'persona informata sui fatti' ma in realtà molto di più. Alejandro diviene quasi un emblema vivente del modo in cui davvero vengono combattute le guerre della contemporaneità - di quanto sia enorme il confine tra il reale e il mostrabile - ma anche di quanto ancora il vissuto personale motivi scelte che riverberano sul collettivo. Kate si renderà ben presto conto di essere solo una pedina ad esclusivi scopi burocratici ma sceglierà di non voltare lo sguardo - almeno fino in fondo, fin quando sarà in qualche modo obbligata a farlo. Un film durissimo che sceglie la strada di mostrare quanto spesso è taciuto o solo intuito: già dai tempi de 'La donna che canta' Villeneuve aveva capito che la guerra è già tra noi e l'11 settembre è un po' tutti i giorni - qui formalizza le sue intuizioni con un film quasi perfetto. Ma necessario, soprattutto.
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mercoledì 24 febbraio 2016
lunedì 15 febbraio 2016
Consuntivi 2015 - Cinema (1)
Serve dire che sono in ritardo? Serve dire che sarebbe ragionevole pensare a questo blog come ad un'entità morta e sepolta o - perlomeno - inutile?
No che non serve. E poi della sua inutilità ne sono sempre stato convinto - ma è inutile il 99% delle cose che trovate su internet (beh, forse esagero - in effetti i siti porno una loro utilità ce l'hanno).
Comunque intendo esercitarmi ancora con le mie playlists di film e musica - con la consueta avvertenza che parlo solo di quanto ho in effetti visto e/o sentito e che è uscito - in Italia - durante l'anno 2015. Un esercizio parziale e autoindulgente ne convengo. Superfluo e - proprio per questo - anche piacevole.
10) FURY - David Ayer
Il paragone coi bastardi senza gloria di Tarantino sorge abbastanza spontaneo e non solo per la presenza di Brad Pitt. Forse però David Ayer guarda più a Peckinpah e alla sua antiretorica (specie nella 'Croce di ferro' ma anche dei western, certo). Non tocca i livelli degli archetipi ma funziona e anche molto bene. Il rapporto simbiotico macchina-uomo emerge qui molto più che in altri film di guerra. E proprio qui direi sta il punto: non si celebra l'aereo di un top gun e - meno che mai - l'asettica attitudine omicida di un drone qualunque - qui si narra della necessaria simbiosi tra un manipolo di uomini abbruttiti dalla guerra e un bestione rugginoso. Un film appassionante e crudo dove emerge chiaramente quanto sia labile il confine tra eroismo e follia - dominato dal grigio - si sente quasi in bocca il sapore del ferro (arrugginito, ovviamente).
9) CRIMSON PEAK - Guillermo Del Toro
Non mi pare sia stato adeguatamente apprezzato questo nuovo film di Del Toro - eppure possiede varie frecce al suo arco (e alcune si permette persino di tenerle nelle faretra). Il regista messicano - questo è chiaro ed è un merito enorme - non vuole essere un nuovo Tim Burton (anche perché quello vecchio basta e avanza ed è dalla fine del secolo scorso che non ne azzecca una) ma guarda decisamente alle fonti, ovvero alla Hammer e al gotico italiano e spagnolo. Ne esce un'opera decisamente e totalmente di genere, in grado di appassionare senza bisogno di troppi spaventi artefatti. Presenta inoltre una cura per il dettaglio che appare tanto filologica da permettersi anche il lusso dell'originalità. Funziona e diverte - ed è ben più sovversivo di come potrebbe apparire a prima vista.
8) IL RACCONTO DEI RACCONTI - Matteo Garrone
Mi ero proposto di metterci un film italiano - non per forza, chiaramente, ma se l'avessi trovato all'altezza. Poteva starci anche Suburra, ma in fin dei conti quello riattualizza una tradizione del nostro cinema. Il fantasy di natura esplicitamente fiabesca invece ha ben pochi antecedenti nel nostro paese (mi vengono in mente le fiction del buon Lamberto Bava - Fantaghirò e similari, ma con un target decisamente più infantile). Garrone ha il merito di pescare nella tradizione fiabesca italiana (napoletana, in particolare visto che 'Lo cunto de li cunti' di Giambattista Basile è proprio scritto in napoletano) realizzando un film visivamente imponente in grado di rievocare tanto Fellini e Monicelli (almeno per le sue incursioni medioevali), quanto il gotico di Bava e Mastrocinque (e cito proprio Mastrocinque perché il suo 'Un angelo per satana' rimane ad oggi un coacervo di sensazioni 'paniche' ad oggi non adeguatamente valutato e il fim di Garrone me lo ha ricordato) ad arrivare alle recenti serie tv come 'Il trono di spade' e 'Once upon a time' (il cui successo ha certamente aiutato la produzione del film). Bello ed enigmatico, come si conviene. Portatore di sensazioni che durano ben oltre la visione.
7) DHEPHAN - UNA NUOVA VITA - Jacques Audiard
Lasciamo da parte la fetenzia dei tanti commentatori italiani per cui - a quanto pare - il festival di Cannes è una sorta di succursale dell'expo e l'unica cosa di cui parlare sono i film italiani e il fatto che ricevano o meno premi. Audiard non ha smarrito la retta via come in molti hanno detto. La palma d'oro non so dire se è meritata (non avendo visto tutti i film in concorso) ma di certo non può essere semplicemente considerata una sorta di premio alla carriera. Audiard era e rimane un regista di noir. Può mascherare i suoi film da romantiche storie d'amore con disabili (come nel precedente e splendido 'Un sapore di ruggine e ossa') o - come in questo caso - da racconti sull'immigrazione e il disagio urbano. Ma i suoi personaggi sono sempre della stessa pasta - perdenti incattiviti che si aggrappano alle poche speranze che trovano in giro - gente che gioca con le carte che si trova in mano - bluffando qualche volta. Dheepan è Rambo, né più né meno. Un reduce sconfitto che si aggrappa al poco che gli rimane. Prova a ricostruire qualcosa ma la violenza lo verrà comunque a cercare. E - proprio come Rambo - non conviene farlo incazzare. Non fatevi ingannare dai preconcetti - guardate questo film e provate a non fraintendere.
6) CALVARIO - John Micheal McDonagh
Il precedente film di McDonagh si intitolava (in Italia) 'Un poliziotto da happy hour'. Era un poliziesco di quelli belli davvero, con un protagonista (sempre un ottimo Brendan Gleeson) ottimamente caratterizzato. Qui invece si affronta il tema della pedofilia nella chiesa cattolica e lo si fa in una prospettiva nerissima e cupa. Padre James è una brava persona, prima di diventare prete ha avuto anche una figlia che adesso è piuttosto depressa, presta servizio in una parrocchia irlandese dove praticamente la fede non è altro che vuota apparenza a celare un corollario delle perversioni più disparate o semplicemente di un disinteresse figlio della disperazione e della noia. In confessione viene minacciato di morte da parte di una persona che da giovane aveva subito abusi sessuali da un prete. Padre James è totalmente innocente e - pur riconoscendolo - sceglie comunque di non denunciarlo e di non scappare, meditando solo un autodifesa a cui non crede fino in fondo. Se Jim Thompson avesse sceneggiato un film di Bresson forse sarebbe uscita fuori una cosa così.
No che non serve. E poi della sua inutilità ne sono sempre stato convinto - ma è inutile il 99% delle cose che trovate su internet (beh, forse esagero - in effetti i siti porno una loro utilità ce l'hanno).
Comunque intendo esercitarmi ancora con le mie playlists di film e musica - con la consueta avvertenza che parlo solo di quanto ho in effetti visto e/o sentito e che è uscito - in Italia - durante l'anno 2015. Un esercizio parziale e autoindulgente ne convengo. Superfluo e - proprio per questo - anche piacevole.
10) FURY - David Ayer
Il paragone coi bastardi senza gloria di Tarantino sorge abbastanza spontaneo e non solo per la presenza di Brad Pitt. Forse però David Ayer guarda più a Peckinpah e alla sua antiretorica (specie nella 'Croce di ferro' ma anche dei western, certo). Non tocca i livelli degli archetipi ma funziona e anche molto bene. Il rapporto simbiotico macchina-uomo emerge qui molto più che in altri film di guerra. E proprio qui direi sta il punto: non si celebra l'aereo di un top gun e - meno che mai - l'asettica attitudine omicida di un drone qualunque - qui si narra della necessaria simbiosi tra un manipolo di uomini abbruttiti dalla guerra e un bestione rugginoso. Un film appassionante e crudo dove emerge chiaramente quanto sia labile il confine tra eroismo e follia - dominato dal grigio - si sente quasi in bocca il sapore del ferro (arrugginito, ovviamente).
9) CRIMSON PEAK - Guillermo Del Toro
Non mi pare sia stato adeguatamente apprezzato questo nuovo film di Del Toro - eppure possiede varie frecce al suo arco (e alcune si permette persino di tenerle nelle faretra). Il regista messicano - questo è chiaro ed è un merito enorme - non vuole essere un nuovo Tim Burton (anche perché quello vecchio basta e avanza ed è dalla fine del secolo scorso che non ne azzecca una) ma guarda decisamente alle fonti, ovvero alla Hammer e al gotico italiano e spagnolo. Ne esce un'opera decisamente e totalmente di genere, in grado di appassionare senza bisogno di troppi spaventi artefatti. Presenta inoltre una cura per il dettaglio che appare tanto filologica da permettersi anche il lusso dell'originalità. Funziona e diverte - ed è ben più sovversivo di come potrebbe apparire a prima vista.
8) IL RACCONTO DEI RACCONTI - Matteo Garrone
Mi ero proposto di metterci un film italiano - non per forza, chiaramente, ma se l'avessi trovato all'altezza. Poteva starci anche Suburra, ma in fin dei conti quello riattualizza una tradizione del nostro cinema. Il fantasy di natura esplicitamente fiabesca invece ha ben pochi antecedenti nel nostro paese (mi vengono in mente le fiction del buon Lamberto Bava - Fantaghirò e similari, ma con un target decisamente più infantile). Garrone ha il merito di pescare nella tradizione fiabesca italiana (napoletana, in particolare visto che 'Lo cunto de li cunti' di Giambattista Basile è proprio scritto in napoletano) realizzando un film visivamente imponente in grado di rievocare tanto Fellini e Monicelli (almeno per le sue incursioni medioevali), quanto il gotico di Bava e Mastrocinque (e cito proprio Mastrocinque perché il suo 'Un angelo per satana' rimane ad oggi un coacervo di sensazioni 'paniche' ad oggi non adeguatamente valutato e il fim di Garrone me lo ha ricordato) ad arrivare alle recenti serie tv come 'Il trono di spade' e 'Once upon a time' (il cui successo ha certamente aiutato la produzione del film). Bello ed enigmatico, come si conviene. Portatore di sensazioni che durano ben oltre la visione.
7) DHEPHAN - UNA NUOVA VITA - Jacques Audiard
Lasciamo da parte la fetenzia dei tanti commentatori italiani per cui - a quanto pare - il festival di Cannes è una sorta di succursale dell'expo e l'unica cosa di cui parlare sono i film italiani e il fatto che ricevano o meno premi. Audiard non ha smarrito la retta via come in molti hanno detto. La palma d'oro non so dire se è meritata (non avendo visto tutti i film in concorso) ma di certo non può essere semplicemente considerata una sorta di premio alla carriera. Audiard era e rimane un regista di noir. Può mascherare i suoi film da romantiche storie d'amore con disabili (come nel precedente e splendido 'Un sapore di ruggine e ossa') o - come in questo caso - da racconti sull'immigrazione e il disagio urbano. Ma i suoi personaggi sono sempre della stessa pasta - perdenti incattiviti che si aggrappano alle poche speranze che trovano in giro - gente che gioca con le carte che si trova in mano - bluffando qualche volta. Dheepan è Rambo, né più né meno. Un reduce sconfitto che si aggrappa al poco che gli rimane. Prova a ricostruire qualcosa ma la violenza lo verrà comunque a cercare. E - proprio come Rambo - non conviene farlo incazzare. Non fatevi ingannare dai preconcetti - guardate questo film e provate a non fraintendere.
6) CALVARIO - John Micheal McDonagh
Il precedente film di McDonagh si intitolava (in Italia) 'Un poliziotto da happy hour'. Era un poliziesco di quelli belli davvero, con un protagonista (sempre un ottimo Brendan Gleeson) ottimamente caratterizzato. Qui invece si affronta il tema della pedofilia nella chiesa cattolica e lo si fa in una prospettiva nerissima e cupa. Padre James è una brava persona, prima di diventare prete ha avuto anche una figlia che adesso è piuttosto depressa, presta servizio in una parrocchia irlandese dove praticamente la fede non è altro che vuota apparenza a celare un corollario delle perversioni più disparate o semplicemente di un disinteresse figlio della disperazione e della noia. In confessione viene minacciato di morte da parte di una persona che da giovane aveva subito abusi sessuali da un prete. Padre James è totalmente innocente e - pur riconoscendolo - sceglie comunque di non denunciarlo e di non scappare, meditando solo un autodifesa a cui non crede fino in fondo. Se Jim Thompson avesse sceneggiato un film di Bresson forse sarebbe uscita fuori una cosa così.
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