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venerdì 7 febbraio 2014

Radio Boia playlist - Il passato (immaginato)

Capita a volte di trovarsi a fantasticare di epoche passate, di immaginarsi nel ruolo di uno o più personaggi tipici di un dato periodo storico. Il fatto è che la storiografia corrente ci restituisce il sapore dei tempi andati spesso ragionando per stereotipi. In effetti, se pensiamo - per esempio - al medioevo ci vediamo come impavidi cavalieri, viziosi uomini di chiesa oppure dotti e saggi campagnoli. Se pensiamo agli anni '30 ci vediamo come gangsters o magari attivisti anarchici o comunisti. Pochi immaginano sè stessi come gente comune: contadini, operai, servi della gleba, casalinghe, ladruncoli o prostitute. Qualcuno si immagina generale, praticamente nessuno soldato semplice. Certo tra chi ha vissuto gli anni '70 ci saranno ex attivisti politici o anche ex terroristi o ex hippies; tra chi ha vissuto gli '80 ci saranno ex paninari o ex yuppies. Persino in chi ha vissuto i '90 ci sono ex grunge che girovagavano  in camicione di flanella e capelli lunghi spettinati e un poco unti (ok, tra questi c'ero anch'io - ma un pò per caso).
In verità però il "sentire comune" di un' epoca non lo fanno solo i "personaggi tipici". Certo però che è proprio quest'identificazione a farci scattare - immediata - quella nostalgia di cose mai vissute che - più di tant'altro - sa darci propulsione e spinta creativa anche qui - oggi - in questo eterno presente che capire non sai.
Tutto ciò per andare a ravanare in leggerezza nell'ambito di alcune - note o meno note - curiosità del passato. Partiamo col sempre gradevole Alexander Robotnick (a.k.a. Maurizio Dami). Protagonista di un tempo in cui sembrava vicino lo switch tra umano ed elettronico. Tutto - ma soprattutto musica e teatro - gli ambiti in cui il nostro si cimentava (con Avida - ensemble di "dance cabaret") -  sembrava dovesse passare direttamente in gestione alle macchine: così da un giorno all'altro. Il futuro spaventava ma in verità lasciava anche aperto un mondo di possibilità nuove.  Ed una musica che - almeno nei momenti migliori - ancora diverte. Ed invita a guardare avanti. Che poi l'invito ci giunga da trent'anni fa è un paradosso solo in apparenza.
                                           Alexander Robotnick - Dance Boy Dance
Nada sicuramente è una cantante molto nota; da sempre a suo agio sia nel pop commerciale seppure spesso di buona qualità ("Ma che freddo fa" ed "Amore disperato" oltre ad essere i suoi più grandi successi sono anche due assoluti capisaldi del pop italiano di sempre) come nel cosidetto "rock d'autore" frequentato con buoni esiti, specie negli ultimi anni. Fin da giovane aveva però sperimentato percorsi un tantino eccentrici. L'episodio più noto in tal senso si intitola "Ho scoperto che esisto anch'io"del 1973 , album interamente scritto da Piero Ciampi, con l'asciutto maledditismo alcolista che da sempre lo ha caratterizzato. Vita da bohemiene, e non per modo di dire.
                                                                             Nada
La canzone che ascoltiamo non è forse la migliore, ma è stata la prima che ho sentito: non mi è nemmeno piaciuta lì per lì. Tuttavia  - e a lungo -  mi è rimasta in mente.

                                                        Nada - Come faceva freddo 
Torniamo poi in territori già da tempo frequentati. Gli Stereolab - ad esempio - sono stati per molto tempo (direi soprattutto sul finire dell'ultimo decennio dello scorso secolo) tra i miei preferiti. Certo già da tempo la band di Laetitia Sadier e Tim Gane non ha più la rilevanza dei giorni migliori (ed in effetti sono anche entrati in un lungo periodo di stand by, pur essendo ancora attivi). Ciò non significa però che non valga più la pena ascoltarli.
                                                                                 Stereolab
"Sun Demon" è un estratto dall'album "Not Music" del 2010. Ad oggi la loro ultima emissione su supporto discografico.
                                                             Stereolab - Sun Demon
E già che ci siamo rispolveriamo anche i Pastels con "One Wild Moment" nel celebre remix stereolabico. Contenuto nel remix album "Illuminati" del 1998.

                                         The Pastels - One Wild Moment (Sterelab remix)
Rimaniamo nell'ambito delle mie personalissime cult band per riascoltare anche i Tindersticks, qui alle prese con un duetto con Lhasa De Sela - cantautrice molto apprezzata per i suoi album dedicati soprattutto alla tradizione sudamericana, morta a soli 37 anni, nel 2010. Ecco come il passato ci rivela alcune fragili promesse ed anche il suo modo bizzarro per mantenerle. Qualche volta fa male, appunto.
Negli ultimi anni stava lavorando alle canzoni dei cileni Victor Jara e Violeta Parra. Io - fino a poco tempo fa - non sapevo neppure chi fossero: ma il passato può ancora comunicare - a volere ascoltare.

                                                                      Lhasa De Sela
Il pezzo in questione si trova in "Waiting for the moon", album di Staples e soci del 2003.

                                       Tindersticks & Lhasa De Sela - Sometimes It Hurts

E chiudiamo andando a cortocircuitare  - rigorosamente a cazzo di cane - tra passato remoto e (non più) presente. I 5th Dimesion li conosciamo tutti - volenti o nolenti - visto che il medley tra "The age of aquarius" e "Let the sunshine in" è a tutt'oggi un tormentone - a circa 45 anni dall'uscita. Reso noto soprattutto dal musical (e relativo film) "Hair" che, in tema di cose " che non sono andate esattamente come dovevano" , ha da dire anche troppo.  I 5th dimension hanno fatto anche altre canzoni però - generalmente piuttosto gradevoli.
Per curiosità andiamo a ripescare la cover di un caposaldo dei Cream.

                                             The 5th Dimension - Sunshine of your Love

E chiudiamo con un gruppo relativamente nuovo ossia i Wildlife. Canadesi e autori di due album discreti(il primo era solo un ep, per essere precisini). Potrebbero divenire un grandissimo nome o - cosa forse più probabile - l'ennesima next big thing che dura solo "l'espace d'un matin".
                                                                          Wildlife
A volte mi chiedo se - tra 20,30 o 40 anni - le giovani band di oggi godranno dello stesso alone di culto sotterraneo di cui ammantiamo anche formazioni all'epoca totalmente neglette o misconosciute degli anni 60,70 ecc. Temo di no, perchè oggi appare tutto più deperibile, proprio quando siamo più atrezzati per conservare. Temo di no - dicevo - epperò spero di si. Intanto chi pensa di avere qualcosa da dire continua a far bene a provare a dirlo.
                                                            Wildlife - Stand in the Water



mercoledì 5 febbraio 2014

MACABRE (RUMAH DARA) – The Mo brothers - 2009




Kimo Stamboel e Timo Tjahjanto pare non siano veramente fratelli pur firmandosi Mo brothers. Cosa che pare essere un vezzo piuttosto diffuso in tempi recenti (e soprattutto in ambito horror, chissà perché).
Ammetto subito che “Macabre” (titolo internazionale di “Rumah Dara”, chiamatelo un po’ come volete) è il primo film indonesiano che mi capita di vedere, pur essendo – a voler essere precisini – una coproduzione con Singapore (andrebbe citato anche il pluripremiato “The raid” ma io non l’ho ancora visto). Ricordiamo – par incidens -  che l’Indonesia è il più popoloso paese Islamico del mondo, ma è anche un paese con una storia (ed una geografia, invero) assai particolare. Per farvene un idea vi consiglio la visione di quel capolavoro (estremo in più di un senso) che è “The Act of Killing”, ardito mix di documentario ed esperimento sociologico che scoperchia una pagina assai dolorosa e pure violenta della storia di quella nazione. In realtà sarebbe una mezza minchiata volere vedere nell’iperviolenza messa in scena dai fratellini Mo un qualche genere di portato del clima di tensione (è un eufemismo) e generalizzata prevaricazione che la società del luogo ha indubbiamente subito durante gli anni della dittatura militare e che – volenti o nolenti – un qualche segno deve certo aver lasciato. Vero è che la rappresentazione della figura materna come il primum movens dell’orrore in atto un qualche sospetto di transfert di stampo storico potrebbe anche destarlo; tuttavia si peccherebbe certo di sovra interpretazione, se teniamo in considerazione che figure del genere (e situazioni del genere) sono parecchie diffuse ormai a tutte le latitudini e le longitudini.



La pellicola in questione - a livello di trama – non brilla certo di originalità. Per capirci - ed in estrema sintesi – l’idea base è quella di un gruppo di amici (tra i quali fratello e sorella e la moglie – in cinta – del primo) che si trovano ad essere ospitati dalla famiglia di una malcapitata ragazza alla quale hanno dato un passaggio. Si tratterebbe di un mero atto di cortesia senonché la famigliola in questione – composta da madre, due figli più un personaggio obeso che dovrebbe essere un amico di famiglia – ha intenzione di sottoporre la compagnia ad un trattamento tutt’altro che amichevole, essenzialmente a base di accette e lame ben affilate. In definitiva vai per mangiare ma vieni mangiato.



Sarebbe facile adesso – ma anche parzialmente veritiero – parlare adesso di un film che si accoda sulla moda (ormai passata, ma assai diffusa fino a poco fa) del cosiddetto torture porn sulla scia che da “Saw” porta ad “Hostel” infilandoci in mezzo anche derive europee come “Frontieres” o il capolavoro “Martyrs” sino al nostrano “Paura” dei benemeriti Manetti bros. La verità, però, è che “Macabre” ha il buon gusto di mischiare gli ingredienti in maniera abbastanza inedita. Nel film dei Mo brothers infatti i riferimenti sono anche altri, in primis (ed è persino un’ovvietà a guardare la trama) “Non aprite quella porta” film padre di ogni famiglia seriamente disfunzionale e con tendenze antropofaghe che si rispetti. La differenza con il capolavoro di Hooper sta soprattutto nel fatto che nel film asiatico la famiglia è essenzialmente matriarcale (malgrado alcune presenze maschili – tutte comunque sottomesse alla madre-padrona). E in verità abbiamo anche un elemento occulto – non approfondito ma ben presente ed intuibile – per cui si arguisce che i torturatori protagonisti di “Macabre” praticano in effetti una sorta di sacrificio umano a scopo rituale con lo scopo (ottenuto, peraltro) di mantenersi giovani malgrado l’oramai più che secolare età. Cosa curiosa questa, che pare strizzare l’occhio – almeno per lo spettatore occidentale – al mito della contessa Bathory e a tutta la pletora di film che al fascinoso personaggio sono stati nel tempo dedicati, ma senza l’ovvio sottotesto sessuale in essi implicito. Sempre sfruculiando nel calderone delle (vere o presumibili) influenze troviamo – quasi come fosse una spezia – una sfumatura di J horror; dal punto di vista squisitamente visivo è infatti possibile intravedere nel look delle diaboliche virago che si vogliono pappare gli sventurati viaggiatori qualcosa delle varie Sadako & co. , poco più – per intenderci – di una sorta di riferimento visivo a quella “tradizione incrostata nel dolore” (definizione coniata all’istante, perdonatemi) che sempre o quasi caratterizzò la stagione di “The Ring”, “The Grudge” ecc..


Al netto di ogni influenza va però considerato che qui il tasso di gore è veramente alto, la suspense è ben gestita e tiene fino in fondo, procurando qualche sano brivido anche in noi spettatori che a queste cose dovremmo essere più che avvezzi. Pare che il film sia stato bandito in Malesia: qualcosa dovrà pur significare.




IL MAGNANI dice: 7,5

                                                                                         Trailer