Outside (il cui titolo esatto sarebbe ‘1.Outside’) è stato il primo album di David Bowie che ho acquistato. Praticamente subito dopo l’uscita (autunno 1995). Il fatto è che Bowie è da sempre al vertice delle mie preferenze e questo album si presentava come un qualcosa di imperdibile. Era un concept basato sulla figura di Nathan Adler – detective della sezione crimini artistici – che si trova ad indagare sull’omicidio di tale Baby Grace e – nel corso delle indagini – si imbatte in personaggi parecchio bizzarri. In pratica: un disco prodotto da Brian Eno (come la trilogia berlinese: da me non ancora ascoltata per intero ma già ampiamente mitizzata) che rimandava nei temi trattati a quelle cose che tanto mi piacciono, un po’ di William Burroughs, un po’ di Philip K. Dick, David Lynch, magari Grant Morrison e tanti altri.
In realtà l’ascolto non mi conquistò immediatamente perché - in effetti – il discorso è più complesso di quanto appare e tutto il sottostante – sia musicale che narrativo – è cosa molto sentita e che non si esaurisce in modo superficiale. Alla perplessità iniziale si sostituì col tempo un piacere autentico ma anche la delusione perché non venne mai presentato l’agognato seguito dell’album (avrebbe dovuto essere la prima parte di una trilogia). La critica – all’uscita – incensò davvero Outside, qualcuno si spinse a parlare di capolavoro ma – già negli anni successivi – questa visione si stemperò molto e l’album viene perlopiù (salvo eccezioni, chiaro) dipinto come una cosa non completamente riuscita. Io lo considero, invece, un capolavoro autentico nonché la cosa migliore di Bowie di tutti gli anni ‘90 (altri capolavori vennero – ma più avanti). La canzone che propongo è tra le più immediate e martellanti e devo dire che mi piace ancora tanto (in rete potrete trovarne anche una versione realizzata coi Pet Shop Boys). Altri pezzi notevoli: ‘The Motel’; la title track, I’m Deranged, Strangers when we Meet'.
NEGRITA – PARADISI PER ILLUSI
Per qualche strano motivo volevo che mi piacessero i Negrita. Cioè: avevo anche provato ad ascoltare Ligabue e i Litfiba ma proprio non li digerivo. Gli aretini mi sembravano un buon compromesso: rock italiano che puntava al mainstream ma senza svaccare troppo e con buona proprietà sonora. Nel 1994 avevano pubblicato un buon esordio (che non era certo un capolavoro, in effetti – ma occorre valutarlo nel contesto) e nel 1995 se ne escono con un ep di 6 pezzi ‘Paradisi per illusi’. Lo compro e dopo pochi ascolti me ne pento. Si ok, sempre meglio di quella minchiatona incagabile che fu ‘Buon compleanno Elvis’ del Liga nazionale (uscito grossomodo nello stesso periodo – me lo passarono e fu comunque un successo enorme) ma sentivo che la mia strada non passava di li. Oggi sono più accondiscendente e devo ammettere che – in alcuni pezzi almeno – non erano davvero male. Due anni dopo uscì XXX e giustamente viene ricordato come quella ciofeca che era (con versi memorabili quali ‘fare sesso nascosti nel cesso, fumarsi una Marlboro dopo l’amplesso) ma forse ha aiutato la band a trovare una sua dimensione mantenendo un impianto classicamente rock blues che andasse a flirtare col pop di tutto il mondo (senza scimiottamenti grunge, che nelle prime cose erano certo presenti – ma erano i tempi). Per cui concludo dicendo che oggi – a tanto tempo di distanza – non comprerei un disco dei Negrita e non andrei ad un loro concerto (salvo che sia gratis e vicino a casa) ma se passano in radio non mi dispiace.
SMASHING PUMPKINS – GALAPAGOS
‘Mellon Collie and the Infinite Sadness’ usciva nel 1995 e davvero non so se considerarlo la colonna sonora di un periodo parecchio triste (tristezza infinita non saprei, abbastanza grossa comunque) o come una sorta di medicina per reagire al tedio esistenziale. Ma in realtà è – chiaramente – tutte e due le cose. La band di Billy Corgan non mi era completamente nuova e d’altronde quello che forse è il loro capolavoro (Siamese Dream) usciva due anni prima e qualcosa avevo avuto modo di sentire. Ma sinceramente mi ero quasi dimenticato che esistessero fino all’uscita di questo ambizioso doppio album e della pletora di recensioni entusiastiche che lo accompagnarono. Recensioni che spesso mettevano in risalto certe influenze che parevano richiamarsi al prog anni ‘70 che – si ammettiamolo – veniva visto come cosa brutta brutta ma che Corgan e soci riuscivano a nobilitare e trascendere. In realtà – almeno per me – le influenze prog non sono poi così presenti (anche se poi non ci sarebbe niente di male, in verità e col senno di poi) e siamo comunque in presenza di un album grunge a tutti gli effetti – certo le atmosfere a volte si dilatano ma l’ispirazione sembra venire molto più dalla new wave e financo dallo shoegazing che non da altro. O forse dal glam di Todd Rundgreen, Roxy Music o David Bowie – ma poi poco importa. ‘Galapagos’ rimane per me un gran pezzo – non il più noto ne il più rappresentativo dell’album e nemmeno il più bello. Diciamo che – all’epoca – contribuì a spostare il baricentro dei miei ascolti ma – ovviamente – me ne rendo conto solo ora. Dopo Mellon Collie gli S.P. hanno pubblicato diversi altri album (l’ultimo è del 2020) – alcuni anche belli – ma non hanno più avuto ne mai più avranno il rilievo che avevano in quegli anni grigi.
BLACK GRAPE – TRAMAZI PARTI
Il Brit Pop era – all’epoca – una delle mie passioni. Ma era, in effetti, una passione piuttosto fresca; come dire: mancava delle basi. A meno che per basi non si intendesse una percezione mitizzata della swinging London degli anni ‘60. Tutta la scena indie-dance madchesteriana me la ero praticamente persa, i Primal Scream li avevo conosciuti solo nella loro veste passatista (apprezzabile in verità – ma non significativa come l’altra), conoscevo gli Suede ma non riuscivo ,in effetti, a contestualizzarli. Però – per questioni di sfumature poco calcolabili – mi piacevano gli Happy Mondays e gli Stone Roses: mi piacevano senza quasi averli mai sentiti, intendiamoci. Cioè forse qualche pezzo si – poco roba, magari del tutto a caso, in ora tarda su Video Music (che a casa mia raramente si prendeva – e allora quelle pochissime volte che funzionava a dovere ne guardavo delle ore in fila – alla lunga mi stancavo anche – per fortuna Red Ronnie me lo sono sempre schivato però). Così, quando esce questo esordio dei Black Grape (autunno 1995), apprendo che ci sono dentro degli ex Happy Mondays (Shaun Ryder, cantante e un po’ il motore del tutto ma anche Bez, suonatore di maracas e dedito – oserei dire – al cazzeggio). Lo compro unicamente perché – pochi giorni dopo aver letto un’entusiastica recensione – me lo trovo davanti paro paro in un negozio di dischi (per nulla ‘alternativo’). Il faccione giallastro in copertina sembra dirmi ‘comprami testa di cazzo, se non lo fai tu nessuno lo farà’ (e – almeno nel contesto di quel negozio e forse del paese tutto è certamente vero). Comunque sia, lo acquisto e poi lo ascolto: ci sono, rispetto agli Happy Mondays, come dire ‘affinità e divergenze’ ma in realtà questo verrò a capirlo solo dopo. Comunque è un disco che potremmo definire semplicemente come funk e con un’attitudine cazzona che si sente bene. Sulle prime ho qualche perplessità ma poi inizia a piacermi e anche molto. Preferisco forse i pezzi meno noti – magari la scelta dei primi due singoli non è così azzeccata – ma poi che importa. Col tempo realizzano altri 2 dischi (uno nel 1997 e uno nel 2017) e – sempre col tempo – anche gli Happy Mondays torneranno. Certo i giorni di Madchester non torneranno invece più – e io ho tutti i diritti di essere nostalgico proprio perché mi trovavo da tutt’altra parte.
U2 – HOLD ME, THRILL ME, KISS ME, KILL ME
Ok – fuori da ogni discorso sulla soggettività dei gusti – questa è un tantino imbarazzante. Vediamo di capirci: mi piacevano gli U2 e mi piaceva Batman. Gli U2 venivano da una serie di dischi notevoli e – solo due anni prima – avevano sfornato quello che per me rimane la loro cosa migliore ossia ‘Zooropa’ (i fan di Bono & co non sono assolutamente d’accordo – ma - come non mi stanco di ripetere – è gente che tendenzialmente non capisce un cazzo). Inoltre avevo bisogno di una band da – per così dire – idolatrare. Cioè, cazzo, ce l’avevano tutti una band da idolatrare: i Pink Floyd magari (ma era giusto uscito ‘The division Bell – porca troia che disco di merda, non scherziamo), gli Iron Maiden forse (non ero abbastanza metallaro), i Queen (ma dopo la morte di Freddie Mercury sembrava piacessero a tutti: io non li gradivo più di tanto e comunque non ero necrofilo) – certo c’erano i Nirvana (ma il fucile di Kurt sembrava ancora caldo e io ancora necessitavo di rassicurazioni). Così – per farla breve – decisi che mi piacevano gli U2 anche quando pubblicavano schifezzuole come questa – lo decisi e ci credetti fermamente almeno per alcune settimane. Il film ‘Batman Forever’ (col cavaliere oscuro interpretato di Val Kilmer e diretto da Joel Schumacher) non l’ho mai visto ma tutti lo descrivono come una schifezza (o una simpatica schifezza – i più generosi). Comunque – ad oggi – il miglior film su Batman per me è quello uscito alcuni mesi fa, diretto da Matt Reeves (lo preferisco anche alla trilogia di Nolan). E – sempre saltando di palo in frasca – ricordo che anche Prince si scornò ai tempi del Batman di Tim Burton – realizzando una sua ‘Bat dance’ di enorme successo commerciale ma che possiamo ben ricordare come una minchiatella imbarazzante. Comunque – tornando al mio rapporto con gli U2 – attesi con fiducia l’uscita di ‘Pop’ – annunciato come il loro album ‘elettronico’ e va detto che, anche se le aspettative furono in larga parte deluse da un prodotto molto più attento a piacere alle masse che non ad altro, qualcosa li dentro ancora si salvava. Da li in avanti però non li ho più seguiti – ho provato ancora ad ascoltarli ma li ho trovati irrilevanti e - a tratti – sinceramente vacui. Non mi servono punti di riferimento. Ho tanti musicisti che amo alla follia ma non saprei sceglierne uno solo. Non sono fan di qualcuno in particolare e di un autografo non saprei cosa farmene. [Ma mi perdono].