Elenco blog personale

giovedì 10 novembre 2016

Stardust/2



Non ho certezze ma dovrebbe trattarsi di un'opera di Vicente Romero Redondo, artista figurativo spagnolo, classe 1956. Dallo stile assolutamente classico ma anche molto gradevole, specialmente nei nudi femminili.
[per informazioni vedi: http://www.tuttartpitturasculturapoesiamusica.com/2011/05/vicente-romero-madrid.html]





William Oxer è inglese, si autodefinisce artista 'classico e romantico', peraltro lavora anche su commissione (per chi fosse interessato, ma non è proprio a buon mercato). Lo trovo davvero sin troppo tradizionale, ma alcune sue cose non sono male (come il dipinto qui riprodotto).



Bianca Beauchamp è canadese, nata nel 1977 (peraltro da madre italiana). La sua principale attività è quella di modella fetish, se vi mettete a cercare potrete trovare vagonate di sue foto. Onestamente io la preferisco nuda o con abiti 'normali' piuttosto che inguainata in tute di latex o col costume di Lara Croft. Se sospettate che abbia le tette rifatte sappiate che è vero e non ne fa mistero (anche perché si nota un tantino). Tornerò certamente a proporre sue foto.

Chiudiamo con questa ragazza indiana e due dita alzate che mi piacerebbe dedicare (tra gli altri) al neo eletto Donald Trump e ai censori di Facebook che non hanno capito un cazzo di cosa sia 'artistico' o 'poco rispettoso'. Viva la figa (ma anche il cazzo, se preferite).



giovedì 29 settembre 2016

Stardust/1

Antonio Mancini fu un pittore romano - ascrivibile alla corrente del verismo - vissuto a cavallo dei secoli XIX e XX. L'opera in questione si dovrebbe intitolare 'Nel Boudoir' ed è del 1886.

David Nicholson dovrebbe essere un artista contemporaneo che vive e lavora a New York (ma è nato in Canada).

Denis Chernov è un artista ucraino nato nel 1978 - il suo stile classico e naturalistico ben si adatta ai nudi femminili che sono un suo soggetto frequente.

Franco Fusari è un artista veneto, nato nel 1945. Le sue tavole sono spesso (anzi sempre,almeno per quello che ho visto io) dedicate alla bellezza femminile, in lussureggianti e al contempo realistici tratti in b/n e a mezza tinta.

Oxana Zhelisko - amo molto le sue opere ma di lei so poco - anche se credo di aver capito che è nata in Ucraina ma vive in Canada.





martedì 5 luglio 2016

Le storie (siamo noi)/2










n.6 – Ritorno a Berlino – Paolo Morales/Davide De Cubellis
Un albo di spionaggio è un piccolo evento in casa Bonelli, infatti una serie (o anche una miniserie) tutta incentrata sullo spionaggio è sempre mancata, anche se il genere ha in effetti fatto capolino, nelle più svariate forme, nelle collane dedicate ad altri personaggi e in modalità – per così dire – laterali (ad esempio: Mister No, Martin Mystere, Saguaro)
‘Ritorno a Berlino’ ha un titolo che spiega già sufficientemente l’ambientazione, mentre la trama ruota intorno ad un giovane reporter che rischia la vita trovandosi invischiato in un intrigo che si dipanerà poco a poco, coinvolgendo anche un vecchio agente segreto ed una serie di eventi accaduti nel 1989, giusto all’epoca dell’arcinota caduta del muro.
La particolarità di quest’albo è che si tratta dell’ultimo fumetto realizzato da Paolo Morales, qui in veste di sceneggiatore ma noto anche come disegnatore (lo ricordiamo, per esempio, in Martin Mystere ma anche in numerose storie ‘libere’ sui periodici Eura, dove rivelava uno stile grafico scarno ma – a parer mio – espressivo ed intrigante). I disegni sono, invece, di Davide De Cubellis già attivo in coppia con lo stesso Morales in varie storie del detective dell’impossibile ma noto, soprattutto, come copertinista dell’ultima stagione di John Doe (ma ha anche disegnato lo storyboard del ‘Racconto dei Racconti’).
Per quanto dispiaccia dirlo (visto che parlo di un autore scomparso e che ho anche apprezzato, in varie circostanze) questo ‘Ritorno a Berlino’ non mi ha entusiasmato: mi è parsa un po’ la somma di tante suggestioni tipiche della spy story (quella più adulta, poco o niente a che vedere con 007) inserite in una trama forse eccessivamente semplice per non apparire un tantino scontata, anche se quel fondo di atmosfera malinconica che permea tutto il racconto garantisce comunque una sua tenuta e godibilità complessiva. De Cubellis funziona a dovere e il suo tratto, senza fronzoli e con linee parecchio ‘squadrate’ ricorda abbastanza quello del Morales disegnatore (ed è un complimento, neanche piccolo).

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n.7 – La pattuglia – Fabrizio Accatino/Giampiero Casertano

Ci troviamo qui catapultati in piena guerra del Vietnam. La pattuglia del titolo è rappresentata da un manipolo di uomini che – sotto la guida del capitano Artz ha il compito di recuperare, in piena giungla vietnamita, un gruppo di soldati scomparsi tanto tempo prima dai quali è arrivata una richiesta di aiuto via radio, facendo così sperare che siano ancora vivi. Il racconto si struttura sostanzialmente su due filoni narrativi che si compenetrano: le dinamiche di gruppo nell’ambito della missione fra persone tra loro anche molto diverse e la discesa nell’incubo nel cuore della giungla che – inevitabilmente – tinge di horror la vicenda, riecheggiando anche suggestioni Conradiane.
Fabrizio Accatino è uno sceneggiatore (anche autore di programmi per radio e tv) che ha lavorato soprattutto per Dylan Dog (con risultati buoni) e qui dà un’ottima prova (non originalissimo il soggetto va detto, ma davvero ben gestito a livello di sceneggiatura). Per quanto riguarda Casertano si potrebbe replicare il discorso già fatto per il numero uno -  resta uno dei migliori disegnatori sulla piazza e per una storia dotata di atmosfere così ‘opprimenti’, tra il grottesco e l’inquietante, non si potrebbe chiedere di meglio. 

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n.8 – Amore nero – Gigi Simeoni

Il commisario De Vitalis – già apparso ne ‘Gli occhi e il buio’, pluripremiata precedente fatica dello stesso Simeoni – deve indagare sulla morte di Francesco, fratello della moglie Ada. Le cose non sono però tanto semplici e – a complicare la situazione – si immettono influssi nefasti in cui un’anima in pena intrappolata nell’aldilà si affaccia, disperata, sul mondo dei vivi.
Diciamo subito che Gigi Simeoni è un autore da tenere sempre d’occhio. Ai tempi il suo contributo alla tanto osannata (forse troppo, secondo me) serie ‘Hammer’ è stato certamente tra i migliori e più degni di nota; i suoi recenti contributi a Dylan Dog mi paiono come alcuni degli episodi significativi di una serie che – malgrado il tanto decantato nuovo corso – fatica ancora  a trovare una sua (nuova) identità; questo poi per tacere dei suoi ‘romanzi grafici’: a partire dal già citato ‘Gli occhi e il buio’ per arrivare al notevole ‘Stria’ – davvero in grado di sorprendere soprattutto per la scelta delle ambientazioni e delle tematiche, oltre che per uno stile grafico d’impostazione ‘popolare’ ma raffinato, dotato com’è di un dosaggio dei tratteggi e dei neri molto suggestivo ed in grado (per una serie d’associazioni mentali) di evocare ricche tradizioni che vanno dal bonelliano classico (io ci vedo addirittura qualcosa di Bignotti) alla historieta degli anni ’70, ai migliori tascabili erotici.
A livello d’ambientazione anche ‘Amore nero’ funziona (parliamo di Milano, nei primi anni del XX secolo) ma – in tutta onestà – è l’insieme narrativo a scricchiolare parecchio. In altri termini risulta tutto un po’ troppo ‘semplice’, come se – ad un certo punto – ci si fosse accorti che lo spazio a disposizione era troppo poco e si fosse provveduto ad adattare il tutto ad un racconto che cede troppo ai luoghi comuni e – in definitiva – al risaputo. Ed è forse la prevedibilità il principale limite di quest’albo. Va però anche detto che la delusione nasce dal fatto che le aspettative erano davvero molto alte.

[5,5]





n.9 – Mexican standoff – Diego Cajelli/Matteo Cremona

Non sono poi molte le storie delle Storie (scusate il bisticcio ma mi piaceva) ambientate nel presente ma dopotutto il bello di questa collana sta proprio nella possibilità di spaziare da un numero all’altro in qualsiasi epoca ed in qualsiasi genere. Logico che prima o poi si sarebbe arrivati anche ai giorni nostri, per di più con un racconto in grado di miscelare, senza stridori evidenti, il poliziesco – per così dire ‘di frontiera’ - a base di narcotrafficanti messicani e forze di polizia intenti a reprimerli (una sorta di neo western, per molti versi) con la fantascienza a base di alieni. Per non rivelare troppo mi limiterò a dire che la vicenda prende le mosse da un uomo che viene ritrovato – nei pressi della frontiera, appunto – da alcuni contadini messicani; pur essendo visibilmente ferito egli è vivo e le sue lesioni risultano curate in maniera piuttosto misteriosa. Da qui si aprono le porte per il ritorno di un passato che è fatto tanto di violenza criminale quanto di presenze ben più misteriose e di origine non propriamente terrestre.
Taglio subito la testa al toro dicendo che non ho amato quest’albo anche se sulla carta avrebbe avuto tutte le carte in regola per piacermi. Diego Cajelli è un ottimo sceneggiatore, sempre attento a realizzare commistioni originali, le sue prove bonelliane sono - in linea di massima – convincenti (tranne per Zagor, dove secondo me non è riuscito particolarmente bene) ed anche le  sue creazioni (partendo da Pulp Stories e Randall Mc Fly per giungere sino a Long Wei) sono spesso notevoli nell’abbinare un sostenuto ritmo narrativo con la fusione di elementi piuttosto inediti, almeno nell’ambito del fumetto popolare italiano (si veda in particolare una certa attenzione per le arti marziali). Allora cos’è che non va? Difficile dirlo, forse che qui la peculiarità del soggetto appare un tantino troppo ‘a tesi’  e poco sentita, poco viscerale – ma in realtà sto solo tentando di razionalizzare una sensazione provata a pelle – mi rendo ben conto di pormi nell’aleatorio campo del ‘mi piace/non mi piace’ e che quindi il mio giudizio lascia il tempo che trova (beh, in verità succede anche negli altri casi, ma qui è più evidente) però il punto è che ‘Mexican standoff’ ha tutto quello che serve a convincermi eppure questo non succede, anzi mi lascia freddo e persino annoiato.
Rimane da dire che le tavole di Matteo Cremona (già al lavoro su John Doe e David Murphy 911 – più recentemente su Orfani) sono come al solito ottime e risultano parecchio funzionali all’atmosfera polverosa (anche nel senso della polvere da sparo) di quest’albo.

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n.10 – Nobody – Alessandro Bilotta/Pietro Vitrano

Un racconto di pirati con delle premesse classiche ma sempre piuttosto interessanti. Già il titolo (che poi è anche il nome del protagonista) rimandano palesemente all’Ulisse omerico e tutta la narrazione prende in qualche modo le mosse dalla figura di un personaggio che è tutt’altro rispetto a ciò che appare. Nobody si presenta niente più che come un pazzo ed un ubriacone o almeno è così che tutti lo considerano. La realtà è ovviamente molto diversa e questo signor nessuno si rivelerà ben presto non solo un archetipo dell’avventura ma una vera e propria guida attraverso questi stessi archetipi. Alla ricerca di un tesoro nascosto incontrando mostri marini, navi pirata e isole misteriose.
L’intento ad imbastire un omaggio all’avventura in quanto tale è sin da subito evidente e questo ispirerebbe una certa simpatia e complicità; a me è parso però che Bilotta abbia voluto strafare, abbia messo insomma troppa carne al fuoco senza darsi il tempo e lo spazio di cuocere gli ingredienti a dovere. A mio parere in una storia del genere (dove la trama può appassionare ma non certamente stupire) è l’empatia coi personaggi ad avere un ruolo fondamentale, empatia che qui io devo ammettere di non aver sentito. Quello che penso è che forse ci sarebbero volute molte più pagine per far emergere il pathos del racconto ed andare oltre il semplice omaggio citazionista – oppure molte meno pagine (una dozzina, per dire) e limitarsi ad una simpatica strizzatina d’occhio.
Pietro Vitrano devo ammettere che ha un tratto che incontra poco il mio gusto, ci vedo un eccesso di neri e di tratteggio forse non adattissimo per un’ambientazione marinara. È comunque promettente e – per quanto mi riguarda – già le sue prove successive le ho gradite molto di più.

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