Capita a
volte che un senso di fastidio pervada l’aria e una lieve nausea soffochi
un’esperienza che avreste pensato non del tutto sgradevole. Capita, ed è
capitato in più di un caso, quando ci siamo trovati di fronte a quelle che
potremmo definire “tarantinate”. Quella sporca patina di postmoderno dove il
senso dell’exploitation passa – in un contesto di rilassato ed avvilente
pseudo-intellettualismo – da quanto sesso e/o violenza sei in grado di mostrare
al numero di citazioni (generalmente di b-movies del passato, ma non solo) sei
in grado di piazzare in una sola scena. Chiaro che il rischio che la
narrazione, il pathos, la caratterizzazione di situazioni e personaggi vadano a
farsi fottere è sempre dietro l’angolo. A ben vedere è il senso stesso del
cinema che viene meno, così operando. E il senso dell’exploitation, del cinema
bis, in particolare. Cioè: se pensiamo a un cinema che sia prima di tutto
coinvolgimento viscerale ed emotivo, un divertimento “pop” ma non per questo
stupido.
Eppure –
come sempre più spesso mi capita – anche queste mie affermazioni di cui sopra –
delle quali fino a qualche tempo fa ero piuttosto convinto, sono state messe in
crisi. Ad iniziare lo sgretolamento di questo mio “nostalgico” sguardo, rivolto
al sano divertimento popolare che non c’è più, ha cominciato proprio colui che
della rivalutazione del cinema bis è certamente il primum movens, ossia mr. Quentin Tarantino. Tenterò di spiegarmi:
se è possibile costruire storie anche molto articolate e complesse, facendo,
sostanzialmente, un uso esclusivo di materiale e suggestioni provenienti da
pellicole preesistenti, risultando al contempo in grado di appassionare e
divertire, ciò significa – deve significare – che creare ex novo da materiali riciclati non solo
è possibile ma – in un certo senso – è addirittura doveroso. O – detto in altri
termini – come potrei raccontare me stesso e la mia visione del mondo, senza
far uso di suggestioni culturali (in senso lato) preesistenti? Quando proprio queste sono una parte
fondamentale e determinante della mia visione delle cose? Che è poi il concetto che sta alla base
dell’idea stessa di postmoderno o – per stare più coi piedi per terra – della
costruzione di musiche partendo dal campionamento di composizioni preesistenti:
solo che qui non si estrapola di peso, ma si ricrea ex novo, dando un’unità
contestuale ad elementi di provenienza disparata. E – a ben vedere – il
paragone musicale più calzante non è quello con una musica fondata interamente
sui samples bensì quello con un’idea di pop “totale”, capace di unire le
influenze più disparate, creando “oggetti sonori” nuovi non utilizzando – di
fatto - nulla di nuovo (e i nomi da fare
potrebbero essere tanti – uniti solo da quest’approccio – Dirty Projectors,
Vampire Weekend, Neon Indian).
Erin Cummings (Hel) |
È però
un discorso che ci porterebbe lontano e, se pensiamo che intendo affrontare
un’opera tutto sommato modesta, la fatica può apparire incongrua. Mi è tuttavia
parsa necessaria una premessa simile in ragione delle tante recensioni negative
lette a proposito del film in questione; laddove in sostanza si finisce per
affermare che certi giochetti vanno bene se li fa Tarantino ma poi basta.
Atteggiamento, questo, che ricorda un po’ quei critici che, parlando di
spaghetti western, affermano che Sergio Leone era certamente un grande ma il
resto è dimenticabile. Gente che – lo dico in tutta serenità – non ha capito un
cazzo.
Ma – in
buona sostanza – com’è questo Bitch Slap?
Iniziamo col dire che la cifra stilistica del film non è poi tanto difficile da
individuare se diamo anche solo un’occhiatina al curriculum del regista Rick Jacobson (nome che – di primo acchito – dice ben poco me ne rendo
conto). Costui – negli anni passati – ha diretto vari film interpretati da Don “the dragon” Wilson.
Avete presente quelle simpatiche pellicole di arti marziali che impazzano anni
fa su italia 1, ecco proprio quelli. Io li ho sempre trovati piuttosto
divertenti ma capisco che qui è questione di gusti e comunque sul fatto che
siano minchiatelle non è il caso di avere dei dubbi. Ma le vere peculiarità (ehm...) autoriali di Jacobson emergono
dalla sua produzione televisiva che comprende alcune delle serie più
gioiosamente cult degli ultimi anni, roba come Baywatch, Hercules, Xena ed anche il mio adorato Spartacus. Si tratta di fiction assolutamente
citazionista e retrò ma – a differenza di Tarantino e di alcuni suoi epigoni –
per nulla intellettuale né men che meno radical
chic – anzi iper popolare e persino “ignorante”
(ma questo prendetelo per un complimento, è che mi mancano le parole per dirlo
altrimenti, essendo ignorante a mia volta). Un tentativo – anche piuttosto
riuscito a volte – di prendere l’immaginario di tanti film e telefilm del
passato e sbatterlo dentro – un tanto al kilo – a strutture moderne (o quasi).
Poco più di un giochetto che però, a voler giocarci, sa essere divertente.
Julia Voth (Trixie) |
Bitch
Slap fa semplicemente le stesse cose di Xena ma partendo da materiale di base
un attimo differente. Volontà, questa, esplicitata apertamente nei titoli di
testa ultra kitsch composti esclusivamente da spezzoni di pellicole
interpretati da “femmine folli” che
se le danno di santa ragione o che si sollazzano in atteggiamenti lesbo o
sparando con grosse armi da fuoco. Sono proprio i film di Russ Meyer (e di conseguenza certamente anche “Death Proof” di Quentin, ma anche “Kill Bill”) più vagonate di action ed exploitation anni ’60 e ’70
(un esempio può essere “Foxy Brown” oppure
la serie delle “Charlie’s angels”)
il punto di partenza – e anche di arrivo a ben vedere.
America Olivo (Camero) |
L’azione
parte con tre ragazze Trixie, Hel e Camero (interpretate da Julia Voth, Erin Cummings e America Olivo) nel bel mezzo del
deserto, impegnate a torturare un losco figuro per ottenere informazioni circa
un tesoro che sarebbe nascosto da quelle parti. La storia procede
essenzialmente per flashbacks, nei quali veniamo edotti sul passato delle tre
bonazze. Nel procedere del racconto c’è spazio un po’ per tutto, in particolare
sesso lesbico – accennato ma succulento – e armi da fuoco a tutto spiano.
Entrano in scena anche due mezzi psicopatici (un punk e una giapponesina
sanguinaria assai), uno sceriffo che si innamora delle più indifesa delle tre
protagoniste ma farà una brutta fine e un misterioso supercriminale la cui
identità si intuisce quasi subito ma poi si scorda (e il farti scordare la tua
intuizione fino alla fine è indubbiamente un grosso pregio).
Andrebbe
aggiunto che tra le tre ragazze si insinua una certa rivalità ed una profonda
gelosia che scatenerà la violenza nella personalità border line di Camero. E
che il tutto finisce a schifio. Tranne ovviamente per la protagonista della sorpresina
finale.
Le scene
divertenti sono parecchie a patto che vi piacciano le sparatorie e le tette
grosse, nonché le inquadrature finalizzate a mostrare il più possibile di carne
femminile. Poi va detto che la struttura a flashback è un po’ stancante alla
lunga e che i tentativi di contorcere la trama sono a volte pretestuosi, cioè
anche sensati se vuoi crederci ma è comunque chiaro che la trama non è la parte
più importante del film e pretendere di complicarla troppo non mi pareva il
caso. Ma comunque chissenefrega: Bitch Slap è una pellicola divertente e che ti
tira fuori un sorriso. A calci nei coglioni.
p.s.
Alcune
scene (pochi secondi) risultano censurati nell’edizione cinematografica
italiana, tra cui il sesso lesbo in confessionale, peccato perché è parecchio divertente
(anche se poi la ritrovate sul dvd).
il Magnani dice: 6,5
il Trailer
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