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mercoledì 26 marzo 2014

cult songs/ ALAN SORRENTI - vorrei incontrarti






Vorrei incontrarti fuori i cancelli di una fabbrica,
vorrei incontrarti lungo le strade che portano in India,
vorrei incontrarti ma non so cosa farei:
forse di gioia io di colpo piangerei.
Vorrei trovarti mentre tu dormi in un mare d'erba
e poi portarti nella mia casa sulla scogliera,
mostrarti i ricordi di quello che io sono stato,
mostrarti la statua di quello che io sono adesso.

Vorrei conoscerti ma non so come chiamarti,
vorrei seguirti ma la gente ti sommerge:
io ti aspettavo quando di fuori pioveva,
e la mia stanza era piena di silenzio per te.

Vorrei incontrarti proprio sul punto di cadere,
tra mille volti il tuo riconoscerei,
canta la tua canzone, cantala per me:
forse un giorno io canterò per te.

Vorrei conoscerti ma non so come chiamarti,
vorrei seguirti ma la gente ti sommerge:
io ti aspettavo quando di fuori pioveva,
e la mia stanza era piena di silenzio per te.

Vorrei incontrarti fuori i cancelli di una fabbrica,
vorrei incontrarti lungo le strade che portano in India,
vorrei incontrarti ma non so cosa farei:
forse di gioia io di colpo piangerei

                                                               nella versione dei LA CRUS

                                                               nella versione di COLAPESCE  

martedì 25 marzo 2014

BITCH SLAP - Rick Jacobson - 2010




Capita a volte che un senso di fastidio pervada l’aria e una lieve nausea soffochi un’esperienza che avreste pensato non del tutto sgradevole. Capita, ed è capitato in più di un caso, quando ci siamo trovati di fronte a quelle che potremmo definire “tarantinate”. Quella sporca patina di postmoderno dove il senso dell’exploitation passa – in un contesto di rilassato ed avvilente pseudo-intellettualismo – da quanto sesso e/o violenza sei in grado di mostrare al numero di citazioni (generalmente di b-movies del passato, ma non solo) sei in grado di piazzare in una sola scena. Chiaro che il rischio che la narrazione, il pathos, la caratterizzazione di situazioni e personaggi vadano a farsi fottere è sempre dietro l’angolo. A ben vedere è il senso stesso del cinema che viene meno, così operando. E il senso dell’exploitation, del cinema bis, in particolare. Cioè: se pensiamo a un cinema che sia prima di tutto coinvolgimento viscerale ed emotivo, un divertimento “pop” ma non per questo stupido.
Eppure – come sempre più spesso mi capita – anche queste mie affermazioni di cui sopra – delle quali fino a qualche tempo fa ero piuttosto convinto, sono state messe in crisi. Ad iniziare lo sgretolamento di questo mio “nostalgico” sguardo, rivolto al sano divertimento popolare che non c’è più, ha cominciato proprio colui che della rivalutazione del cinema bis è certamente il primum movens, ossia mr. Quentin Tarantino. Tenterò di spiegarmi: se è possibile costruire storie anche molto articolate e complesse, facendo, sostanzialmente, un uso esclusivo di materiale e suggestioni provenienti da pellicole preesistenti, risultando al contempo in grado di appassionare e divertire, ciò significa – deve significare – che creare ex novo da materiali riciclati non solo è possibile ma – in un certo senso – è addirittura doveroso. O – detto in altri termini – come potrei raccontare me stesso e la mia visione del mondo, senza far uso di suggestioni culturali (in senso lato) preesistenti?  Quando proprio queste sono una parte fondamentale e determinante della mia visione delle cose?  Che è poi il concetto che sta alla base dell’idea stessa di postmoderno o – per stare più coi piedi per terra – della costruzione di musiche partendo dal campionamento di composizioni preesistenti: solo che qui non si estrapola di peso, ma si ricrea ex novo, dando un’unità contestuale ad elementi di provenienza disparata. E – a ben vedere – il paragone musicale più calzante non è quello con una musica fondata interamente sui samples bensì quello con un’idea di pop “totale”, capace di unire le influenze più disparate, creando “oggetti sonori” nuovi non utilizzando – di fatto -  nulla di nuovo (e i nomi da fare potrebbero essere tanti – uniti solo da quest’approccio – Dirty Projectors, Vampire Weekend, Neon Indian). 

Erin Cummings (Hel)


È però un discorso che ci porterebbe lontano e, se pensiamo che intendo affrontare un’opera tutto sommato modesta, la fatica può apparire incongrua. Mi è tuttavia parsa necessaria una premessa simile in ragione delle tante recensioni negative lette a proposito del film in questione; laddove in sostanza si finisce per affermare che certi giochetti vanno bene se li fa Tarantino ma poi basta. Atteggiamento, questo, che ricorda un po’ quei critici che, parlando di spaghetti western, affermano che Sergio Leone era certamente un grande ma il resto è dimenticabile. Gente che – lo dico in tutta serenità – non ha capito un cazzo.
Ma – in buona sostanza – com’è questo Bitch Slap? Iniziamo col dire che la cifra stilistica del film non è poi tanto difficile da individuare se diamo anche solo un’occhiatina al curriculum del regista Rick Jacobson (nome che – di primo acchito – dice ben poco me ne rendo conto). Costui – negli anni passati – ha diretto vari film interpretati da Donthe dragonWilson. Avete presente quelle simpatiche pellicole di arti marziali che impazzano anni fa su italia 1, ecco proprio quelli. Io li ho sempre trovati piuttosto divertenti ma capisco che qui è questione di gusti e comunque sul fatto che siano minchiatelle non è il caso di avere dei dubbi. Ma le vere peculiarità (ehm...) autoriali di Jacobson emergono dalla sua produzione televisiva che comprende alcune delle serie più gioiosamente cult degli ultimi anni, roba come Baywatch, Hercules, Xena ed anche il mio adorato Spartacus. Si tratta di fiction assolutamente citazionista e retrò ma – a differenza di Tarantino e di alcuni suoi epigoni – per nulla intellettuale né men che meno radical chic – anzi iper popolare e persino “ignorante” (ma questo prendetelo per un complimento, è che mi mancano le parole per dirlo altrimenti, essendo ignorante a mia volta). Un tentativo – anche piuttosto riuscito a volte – di prendere l’immaginario di tanti film e telefilm del passato e sbatterlo dentro – un tanto al kilo – a strutture moderne (o quasi). Poco più di un giochetto che però, a voler giocarci, sa essere divertente. 

Julia Voth (Trixie)


Bitch Slap fa semplicemente le stesse cose di Xena ma partendo da materiale di base un attimo differente. Volontà, questa, esplicitata apertamente nei titoli di testa ultra kitsch composti esclusivamente da spezzoni di pellicole interpretati da “femmine folli” che se le danno di santa ragione o che si sollazzano in atteggiamenti lesbo o sparando con grosse armi da fuoco. Sono proprio i film di Russ Meyer (e di conseguenza certamente anche “Death Proof” di Quentin, ma anche “Kill Bill”) più vagonate di action ed exploitation anni ’60 e ’70 (un esempio può essere “Foxy Brown” oppure la serie delle “Charlie’s angels”) il punto di partenza – e anche di arrivo a ben vedere.   
America Olivo (Camero)


L’azione parte con tre ragazze Trixie, Hel e Camero (interpretate da Julia Voth, Erin Cummings e America Olivo) nel bel mezzo del deserto, impegnate a torturare un losco figuro per ottenere informazioni circa un tesoro che sarebbe nascosto da quelle parti. La storia procede essenzialmente per flashbacks, nei quali veniamo edotti sul passato delle tre bonazze. Nel procedere del racconto c’è spazio un po’ per tutto, in particolare sesso lesbico – accennato ma succulento – e armi da fuoco a tutto spiano. Entrano in scena anche due mezzi psicopatici (un punk e una giapponesina sanguinaria assai), uno sceriffo che si innamora delle più indifesa delle tre protagoniste ma farà una brutta fine e un misterioso supercriminale la cui identità si intuisce quasi subito ma poi si scorda (e il farti scordare la tua intuizione fino alla fine è indubbiamente un grosso pregio).
Andrebbe aggiunto che tra le tre ragazze si insinua una certa rivalità ed una profonda gelosia che scatenerà la violenza nella personalità border line di Camero. E che il tutto finisce a schifio. Tranne ovviamente per la protagonista della sorpresina finale. 


Le scene divertenti sono parecchie a patto che vi piacciano le sparatorie e le tette grosse, nonché le inquadrature finalizzate a mostrare il più possibile di carne femminile. Poi va detto che la struttura a flashback è un po’ stancante alla lunga e che i tentativi di contorcere la trama sono a volte pretestuosi, cioè anche sensati se vuoi crederci ma è comunque chiaro che la trama non è la parte più importante del film e pretendere di complicarla troppo non mi pareva il caso. Ma comunque chissenefrega: Bitch Slap è una pellicola divertente e che ti tira fuori un sorriso. A calci nei coglioni.  

p.s.
Alcune scene (pochi secondi) risultano censurati nell’edizione cinematografica italiana, tra cui il sesso lesbo in confessionale, peccato perché è parecchio divertente (anche se poi la ritrovate sul dvd).  


 il Magnani dice: 6,5
                                                                          il Trailer