“Il suicidio è un martirio offerto a
satana”. Forse è
proprio in questa frase da ricercarsi la chiave più intima e conflittuale di
quest’opera che – diciamolo subito e a scanso di equivoci – è una delle più
originali riletture della figura del vampiro sin qui viste, da confrontarsi, ad
esempio, con altri film fortemente eterodossi sulla figura dei succhiasangue
(come potrebbero essere “Wampyr” di Romero o “The addiction” di Abel Ferrara,
ma se ne potrebbero citare anche altri).
Il
cattolicesimo di Chan-wook – inteso come educazione e non tanto come fede
praticata – è qui presente molto più che nelle sue precedenti produzioni, dove
pure si affacciava pur se non così ampiamente slatentizzato. Quello che
colpisce sempre nel cinema di questo regista
- almeno a primo acchito - è la
densità, la quasi materiale difficoltà a muoversi all’interno di scene
perfettamente progettate e stratificate, tanto dense di significante quanto
veicolo di significati – spesso di natura inconscia, come intuizioni empiriche
e prepotenti, talora – se lette superficialmente – in contraddizione tra loro.[1]
All’interno della
filmografia del regista coreano “Thirst” (che esce nel 2009 – e in Italia si
può vedere unicamente sottotitolato) arriva – cronologicamente parlando – dopo
un’opera forse minore (almeno se la confrontiamo con la trilogia della vendetta
– in specie coi primi due tasselli) ma di indubbio fascino e suggestione quale
era “I’m a cyborg, but that’s ok” e in contemporanea (o quasi) con quel piccolo
capolavoro che è “Night fishing” – mediometraggio di 40 minuti, girato
interamente con un telefonino: tecnicamente prodigioso ma anche in grado di
affascinare con una storia di fantasmi che desta una certa inquietudine,
lasciando indietro di varie distanze i tanti epigoni di quel simil J-Horror che da tempo ormai
immemorabile ha fracassato le palle a varie latitudini (tanto da far quasi
dimenticare che razza di film coi contocoglioni fossero “The Ring” o “Pulse”,
ma ci metterei anche “The Call” – forse in un eccesso di buonismo).
Comprensibile invero che le aspettative riguardo a “Thirst” fossero alte e,
come spesso accade in questi casi, anche le stroncature (o, per così dire, le
“minimizzazioni”) non sono mancate. Lasciando da parte ogni pregiudizio tipico
da addetti ai lavori – magari un tantino annoiati da interminabili visioni
festivaliere – appare chiaro che il film in questione è dotato di una potenza
rara, più che degno dunque di un paragone con la tanto celebrata (giustamente)
trilogia
Il
sacerdote cattolico Sang-hyun (Kang-ho
Song,anche in “Il buono ,il matto ,il cattivo”), animato dal desiderio di
aiutare meglio e sempre di più le persone ammalate e sofferenti si offre
volontario per un esperimento volto a trovare una cura per il temibile virus
Emmanuel (“Dio è con noi” – a suggerire la sofferenza come dono divino e –
forse – chi ad essa vuole opporsi come servo di satana – magari in un eccesso
d’amore per la razza umana). L’esperimento si chiude con la morte di tutti i
sottoposti alla cura; l’unico a salvarsi è proprio il nostro prete, grazie ad
una trasfusione di sangue dalla provenienza incerta. La salvezza lo qualifica
come miracolato e, una volta tornato nella sua città, troverà vari
assembramenti di fedeli desiderosi di essere guariti da lui, spesso anche accampati in improvvisate
tendopoli nei pressi dell’ospedale dove Sang-hyun lavora. Un giorno una di
queste persone: un’anziana signora particolarmente invadente, lo convince a
visitare il figlio ammalato che in realtà è una vecchia conoscenza del prete,
visto che si erano già conosciuti da bambini. Il ragazzo - Kang-woo – effettivamente guarisce e veniamo
anche a conoscenza di Tae-ju (Ok-bin Kim), sua moglie che però è anche
praticamente sua sorella in quanto adottata dalla famiglia in tenera età.
Il
problema è che – nel frattempo – padre Sang-hyun sviluppa una strana allergia
alla luce ,ben presto abbinata alla necessità di bere sangue, necessità che
viene però da lui soddisfatta in maniera
incruenta, per esempio succhiando dalle flebo infilate nelle vene dei malati – a
mo’ di cannuccia – oppure approfittando della disponibilità di un anziano
confratello, donatore (non del tutto) disinteressato.
La
situazione si complica nel momento in cui il nostro reverendo inizia a
frequentare con regolarità – una volta a settimana, per giocare a mah-Jong – la
famiglia dei suoi vecchi conoscenti. In effetti la giovane e bella Tae-ju si
sente un tantino sacrificata divisa com’è tra una suocera-madre che, in
pratica, la utilizza da domestica e un marito-fratello dai comportamenti maldestri
e puerili. Tra lei e il prete-vampiro scatta ben presto qualcosa. Qualcosa che
li condurrà a condividere non solo momenti d’intimità ma anche la natura
vampiresca e, in seguito, l’omicidio del malcapitato Kang-woo.
La
natura dei due amanti-vampiri si rivela però – nel trascorrere del tempo –
piuttosto diversa visto che Tae-ju pare condividere ben poco della moralità
tormentata e non violenta del suo mentore. Proprio il rapporto col resto
dell’umanità (vista da Tae-ju sostanzialmente come bestiame) risulta il primo
motore del conflitto che si instaura tra loro, un conflitto riconducibile alla
dicotomia tra potere inteso come sopraffazione e potere inteso come
responsabilità (spider man docet)
e - in definitiva – maledizione.
La
conclusione è memorabile, rappresentazione di un omicidio-suicidio decisamente sui generis.
Come già
detto “Thirst” è un’opera densa di significati, capace di continui ribaltamenti
di prospettive e di tante scene memorabili. Da citare perlomeno l’omicidio multiplo
degli amici del mah-Jong, violentissimo e al contempo asettico,svolto com’è
nelle bianche e illuminatissime stanze della casa riadattata dagli amanti, quasi a
surrogare la luce del sole, negata dalla propria natura di creature della notte
eppure in qualche modo ricercata. Oppure lo stupro inscenato da padre
Sang-hyun, poco prima della fine, ai danni di una delle ragazze accampate in
attesa di un suo miracolo, allucinata e volontaria distruzione della sua figura
di “santo” – e in definitiva forte critica all’idea di martirio come portatore
di una spiritualità superiore.
Kim Ok-bin |
Quello
che rimane dopo la visione (e rimane a distanza di giorni) è un senso di
profondo disagio spirituale, dovuto forse alla consapevolezza – ben esplicitata
– che le costrizioni morali del cattolicesimo altro non siano che un “fare di necessità virtù” e che “se solo potessimo…” . Una vita vera ed intensa coincide con la più
profonda natura (in)umana, col consacrarsi a satana, col distruggere il
prossimo e – in ultima analisi – distruggere sé stessi. Tremano le gambe, il
sangue pulsa più forte.
Superfluo
dire che attendiamo con ansia “Stoker” primo cimento a produzione occidentale
di Park Chan-wook, nella speranza che non venga colpito dal solito processo di
normalizzazione che ha afflitto altri grandi
prima di lui, una volta
“emigrati” (si pensi a John Woo o a Hideo Nakata). Tuttavia le prime
impressioni raccolte fanno decisamente ben sperare.
TRAILER
IL
MAGNANI dice : 9
[1]
Contraddizione che potrebbe apparire, in chiave politica, proprio in quell’opus
magnum che è la trilogia della vendetta. Dagli estremismi di sinistra di “Mr.
Vendetta” a quelli destrorsi e “giustizialisti” di “Lady Vendetta” passando per
la visione sociale radicale ed innovativa di “Old boy”.