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venerdì 15 febbraio 2013

GODZILLA FINAL WARS - Ryūhei Kitamura – 2004



C’è – ed è giusto che ci sia –  un certo timore nell’approcciarsi ad un film del genere. Soprattutto considerando che il genere del kaiju – eiga ,nel quale si inserisce a pieno titolo, non ha mai goduto – specie in Italia – della giusta considerazione a livello critico (ma nemmeno di pubblico a dire il vero) né di una distribuzione realizzata con adeguata cura filologica (anche se l’opera della Yamato video in tal senso è stata certamente meritoria). Troppa è la fama da filmacci di serie Z che si portano appresso per consentir loro di uscire dall’abisso delle facili ironie e consentire di apprezzare queste opere per ciò che effettivamente sono: un calderone dove ha sfogo la più libera fantasia, dove il miglior artigianato si sposa alla più pura follia creativa, per realizzare spettacoli di solido intrattenimento, che sappiano ad un tempo divertire un pubblico di ogni età ma anche veicolare i valori e (soprattutto forse - almeno in una prima fase) le paure di un popolo intero. E che ci siano forti, fortissime,  assonanze tra il cinema dei mostri e gli anime dedicati ai robottoni giganti  sembra quasi un’ovvietà. Proprio la scarsa considerazione di cui questi film hanno goduto nel nostro paese ha polarizzato i fans, creando comprensibilmente sacche di super esperti ,a fronte dei quali il neofita che volesse accostarsi al genere rischierebbe di trovarsi un tantino spiazzato.[1]



Specifichiamo subito che è meglio dimenticarsi al più presto di quell’immonda ciofeca che è stato il presunto remake americano operato da Roland Emmerich – e dico presunto perché dello spirito originale non si trova praticamente nulla, apparendoci soltanto un giocattolone Hollywoodiano non dei più riusciti, per giunta aggravato dal volersi per forza confrontare con un tradizione non veramente capita né tantomeno apprezzata.
Il film ideale da cui partire (ipotizzando un piacevole ed apprezzabile percorso di scoperta a ritroso) mi pare proprio questo kolossal del 2004. Coproduzione (con capitali anche australiani, cinesi e statunitensi) che – diciamolo a scanso di equivoci – è stata accolta in patria, al momento dell’uscita, da una discreta bordata di critiche negative. Tuttavia ci troviamo di fronte ad un prodotto che – se inquadrato nell’ottica giusta – riesce a divertire e appassionare non poco. Il regista Kitamura (altri suoi film: “Versus” del 2000 e “Azumi” del 2003) preme sull’acceleratore del grottesco e dell’esagerazione, non facendo nulla per smorzare la bizzarria della messa in scena ed, anzi, accentuandola. 






La storia ruota attorno ad un popolo alieno che trova un sistema per utilizzare i tanti mostri che albergano sulla terra contro i terrestri stessi: tramite una sorta di controllo mentale che ha la sua natura in un particolare gene condiviso da queste creature  con gli invasori stessi nonché coi mutanti terrestri.  Questi alieni riescono – tra l’altro – ad assumere sembianze umane e, in virtù di ciò, inizialmente si propongono come visitatori pacifici; il loro bluff viene però facilmente smascherato da un gruppo di volenterosi composto da un aitante mutante immune (il perché si scoprirà alla fine) al controllo mentale (Masahiro Matsuoka), dal bellicoso comandante dell’unità speciale anti mostri (l’americano Don Frye, baffuto ex wrestler), più una bella scienziata  (Rei Kikukawa )  a cui si aggiungeranno vari soldati già componenti dell’unità diretta da Frye.

Don Frye


Kazuki Kitamura - antagonista pricipale
Masahiro Matsuoka
Masami Nagasawa
Rei Kikukawa


L’unico sistema possibile per contenere l’orda di mostri scatenati appare quella di liberare Godzilla – ancora una volta, e quasi suo malgrado, protettore della terra – dai ghiacci antartici in cui è imprigionato e lasciare che se la veda lui. Questo mentre il team umano (o super-umano) se la vede con le alte sfere del popolo invasore. Naturalmente c’è il rischio che il buon dinosaurone  - una volta liberato – sia totalmente fuori controllo e  che – sistemati i mostri – se la prenda anche con gli uomini e – in pratica – distrugga tutto ciò che trova. A rinsavirlo ci penserà il piccolo Minilla : rinvenuto ed accudito da un anziano ed un bambino, che si faranno in quattro per portarlo sul luogo dello scontro, in modo tale che la sua energia positiva possa tranquillizzare l’iracondo genitore. In conclusione la terra è salva; seppure tra le macerie i sopravvissuti possono sperare in un futuro migliore. Godzilla si allontana ma rimane perenne il suo monito al rispetto del pianeta e della natura.

Minilla



Ciò che si nota subito e che impressiona e l’enorme quantità di mostri dispiegati (tra cui Rodan, Mothra, il Mecha Godzilla, e c’è persino il godzilla di Emmerich rinominato Zilla e sconfitto in un baleno) : alcuni interpretati, come tradizione, da attori mascherati, altri in CGI. Ma tutto il film si presenta come un rutilante frullato di elementi svariati: troviamo idee riprese da Matrix e X-men nonché da svariati anime il tutto però con la voglia di un senso di “non sospensione dell’incredulità”  ed anzi giocando ad inserire sempre più elementi apertamente fittizi (risultando – in un certo senso -  una versione “per famiglie” dei film di Noboru Iguchi e forse anche aprendo la strada alle divagazioni ultra pop del Takashi Miike più ludico  - si veda ad esempio l’ubriacante “Yattaman”).
Proprio i termini “ultra pop” e “ludico” mi paiono le due parole chiave per apprezzare un film simile. Riuscire a recuperare il “fanciullo interiore” ed appassionarsi a combattimenti tra attori mascherati da mostri o tra super eroi dalle sembianze di “teen idols”, il tutto con un sorriso ebete e compiaciuto è – almeno è stato per me – un piacere senza pari.
Da segnalare la curiosa colonna sonora di Keith Emerson (!) e dei Sum 41.


                                                                                   Trailer + Godzilla vs. Zilla


                                            Masami Nagasawa canta una canzoncina


[1] Consigliato in proposito il dossier “Godzilla” su Nocturno n.98 (ottobre 2010) , curato da Glauco Guardigli e Antonio Serra (uno dei creatori di “Nathan Never”  - la cui passione per i mostri giapponesi traspare anche da molte sue storie).
Ma anche il libro “Godzilla, re dei mostri” di Davide di Giorgio, Andrea Gigante, Gordiano Lupi, edito dalle edizioni il foglio, nel 2012.

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