C’è
– ed è giusto che ci sia – un certo
timore nell’approcciarsi ad un film del genere. Soprattutto considerando che il
genere del kaiju – eiga ,nel quale si
inserisce a pieno titolo, non ha mai goduto – specie in Italia – della giusta
considerazione a livello critico (ma nemmeno di pubblico a dire il vero) né di
una distribuzione realizzata con adeguata cura filologica (anche se l’opera
della Yamato video in tal senso è stata certamente meritoria). Troppa è la fama
da filmacci di serie Z che si portano appresso per consentir loro di uscire
dall’abisso delle facili ironie e consentire di apprezzare queste opere per ciò
che effettivamente sono: un calderone dove ha sfogo la più libera fantasia,
dove il miglior artigianato si sposa alla più pura follia creativa, per
realizzare spettacoli di solido intrattenimento, che sappiano ad un tempo
divertire un pubblico di ogni età ma anche veicolare i valori e (soprattutto
forse - almeno in una prima fase) le paure di un popolo intero. E che ci siano
forti, fortissime, assonanze tra il
cinema dei mostri e gli anime dedicati ai robottoni giganti sembra quasi un’ovvietà. Proprio la scarsa
considerazione di cui questi film hanno goduto nel nostro paese ha polarizzato
i fans, creando comprensibilmente sacche di super esperti ,a fronte dei quali il
neofita che volesse accostarsi al genere rischierebbe di trovarsi un tantino
spiazzato.[1]
Specifichiamo
subito che è meglio dimenticarsi al più presto di quell’immonda ciofeca che è
stato il presunto remake americano operato da Roland Emmerich – e dico presunto
perché dello spirito originale non si trova praticamente nulla, apparendoci
soltanto un giocattolone Hollywoodiano non dei più riusciti, per giunta aggravato
dal volersi per forza confrontare con un tradizione non veramente capita né
tantomeno apprezzata.
Il
film ideale da cui partire (ipotizzando un piacevole ed apprezzabile percorso
di scoperta a ritroso) mi pare proprio questo kolossal del 2004. Coproduzione
(con capitali anche australiani, cinesi e statunitensi) che – diciamolo a
scanso di equivoci – è stata accolta in patria, al momento dell’uscita, da una
discreta bordata di critiche negative. Tuttavia ci troviamo di fronte ad un
prodotto che – se inquadrato nell’ottica giusta – riesce a divertire e
appassionare non poco. Il regista Kitamura
(altri suoi film: “Versus” del 2000 e “Azumi” del 2003) preme sull’acceleratore
del grottesco e dell’esagerazione, non facendo nulla per smorzare la bizzarria
della messa in scena ed, anzi, accentuandola.
La
storia ruota attorno ad un popolo alieno che trova un sistema per utilizzare i
tanti mostri che albergano sulla terra contro i terrestri stessi: tramite una
sorta di controllo mentale che ha la sua natura in un particolare gene
condiviso da queste creature con gli
invasori stessi nonché coi mutanti terrestri.
Questi alieni riescono – tra l’altro – ad assumere sembianze umane e, in
virtù di ciò, inizialmente si propongono come visitatori pacifici; il loro
bluff viene però facilmente smascherato da un gruppo di volenterosi composto da
un aitante mutante immune (il perché si scoprirà alla fine) al controllo
mentale (Masahiro Matsuoka), dal
bellicoso comandante dell’unità speciale anti mostri (l’americano Don Frye, baffuto ex wrestler), più una
bella scienziata (Rei Kikukawa ) a cui si
aggiungeranno vari soldati già componenti dell’unità diretta da Frye.
Don Frye |
Kazuki Kitamura - antagonista pricipale |
Masahiro Matsuoka |
Masami Nagasawa |
Rei Kikukawa |
L’unico
sistema possibile per contenere l’orda di mostri scatenati appare quella di
liberare Godzilla – ancora una volta, e quasi suo malgrado, protettore della
terra – dai ghiacci antartici in cui è imprigionato e lasciare che se la veda
lui. Questo mentre il team umano (o super-umano) se la vede con le alte sfere
del popolo invasore. Naturalmente c’è il rischio che il buon dinosaurone - una volta liberato – sia totalmente fuori
controllo e che – sistemati i mostri –
se la prenda anche con gli uomini e – in pratica – distrugga tutto ciò che
trova. A rinsavirlo ci penserà il piccolo Minilla : rinvenuto ed accudito da
un anziano ed un bambino, che si faranno in quattro per portarlo sul luogo
dello scontro, in modo tale che la sua energia positiva possa tranquillizzare
l’iracondo genitore. In conclusione la terra è salva; seppure tra le macerie i
sopravvissuti possono sperare in un futuro migliore. Godzilla si allontana ma
rimane perenne il suo monito al rispetto del pianeta e della natura.
Minilla |
Ciò
che si nota subito e che impressiona e l’enorme quantità di mostri dispiegati (tra
cui Rodan,
Mothra,
il Mecha
Godzilla, e c’è persino il godzilla di Emmerich rinominato Zilla
e sconfitto in un baleno) : alcuni interpretati, come tradizione, da attori
mascherati, altri in CGI. Ma tutto il film si presenta come un rutilante
frullato di elementi svariati: troviamo idee riprese da Matrix e X-men nonché
da svariati anime il tutto però con la voglia di un senso di “non sospensione
dell’incredulità” ed anzi giocando ad
inserire sempre più elementi apertamente fittizi (risultando – in un certo
senso - una versione “per famiglie” dei film
di Noboru Iguchi e forse anche
aprendo la strada alle divagazioni ultra pop del Takashi Miike più ludico -
si veda ad esempio l’ubriacante “Yattaman”).
Proprio
i termini “ultra pop” e “ludico” mi paiono le due parole chiave per apprezzare
un film simile. Riuscire a recuperare il “fanciullo interiore” ed appassionarsi
a combattimenti tra attori mascherati da mostri o tra super eroi dalle
sembianze di “teen idols”, il tutto
con un sorriso ebete e compiaciuto è – almeno è stato per me – un piacere senza
pari.
Da
segnalare la curiosa colonna sonora di Keith Emerson (!) e dei Sum 41.
Trailer + Godzilla vs. Zilla
Masami Nagasawa canta una canzoncina
[1]
Consigliato in proposito il dossier “Godzilla” su Nocturno n.98 (ottobre 2010)
, curato da Glauco Guardigli e Antonio Serra (uno dei creatori di “Nathan
Never” - la cui passione per i mostri
giapponesi traspare anche da molte sue storie).
Ma anche il libro “Godzilla, re dei mostri” di Davide
di Giorgio, Andrea Gigante, Gordiano Lupi, edito dalle edizioni il foglio, nel
2012.
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