Probabilmente
non vale nemmeno la pena occuparsi di questo film, considerando che, per una
ragione o per l’altra, ha assunto uno status di culto che forse va –
obiettivamente – al di la dei suoi meriti.
Il
rischio, a fronte di pellicole sì tanto mitizzate è, invariabilmente, quello
della delusione nel trovarsi davanti “solo” un horror tardo gotico con
ammiccamenti sexy e psichedelici, somministrati in modo non troppo difforme a
quanto faceva la Hammer nei suoi ultimi anni. Bisogna dunque fare uno sforzo di
oggettività e lasciarsi magari andare ad una visione da puri e semplici
appassionati di un genere e di un periodo storico. Occorre fare lo sforzo
(piccolo, ma forse immane per qualcuno) di accostarsi alla pellicola con occhi
puri e ingenui, vogliosi di farsi affascinare , per l’ennesima volta, dal
brivido vampiresco nelle sue tendenzialmente infinite declinazioni. Questo
sforzo – credetemi – vale la pena di farlo. Voglio dire: saremmo capaci tutti
di assumere le vesti dello spettatore smaliziato e demolire con le armi
(facili) dell’ironia e della risatina, una sceneggiatura traballante e degli
effetti speciali chiaramente “cheap”. Saremmo capaci tutti ma sarebbe un
esercizio di nessuna soddisfazione [a meno che qualche procace matricola
universitaria non si dichiari irrimediabilmente attratta dalla vostra spocchia
al punto di concedersi a voi, in quel caso avete tutta la mia approvazione]. In
altre parole la squalificante ed abusata categoria del “trash” ha fatto il suo
tempo – probabilmente ha avuto il suo ruolo nello scoperchiare un vaso di
Pandora di pellicole che rischiavano il dimenticatoio – ma ,come dire,
mòbbasta.
Un
aspetto che conferisce fascino al film è il fatto che appare quasi come un
fedele adattamento per il grande schermo dei fumetti erotici targati Edifumetto
o Ediperiodici che all’epoca andavano per la maggiore, in particolare, va da
sé, di quelli con vampire protagoniste (mi riferisco a “Jacula” o a “Zora la
vampira”, quest’ultima nata proprio l’anno precedente, nel 1972 – “Sukia” e
“Yra” erano ancora di là da venire), prima che gli anni ’80 facessero prendere
alle pubblicazioni in questione una china sempre più zozza, nel vano tentativo
di competere col porno vero e proprio. La sceneggiatura, in effetti, potrebbe
benissimo funzionare per un fumetto del genere, ricca com’è di fascinazione per
gli elementi macabri e sensuali al contempo – non troppo approfonditi ma quasi
solo suggeriti tramite il richiamo ad elementi archetipici che – perlomeno
all’epoca – facevano scattare determinate molle. Si potrebbe anche riassumere
la trama con una serie di associazioni d’idee: archeologo/anello magico /Transilvania
/castello/paura popolare/figure misteriose/donna
bellissima/vampiro/sesso/sacrificio umano/lieto fine/vero finale. Eppure è fin
troppo chiaro che – qui come altrove – sono le sfumature a fare le differenze,
altrimenti, com’è ovvio, una volta visto un Dracula, la pratica Vampiri
potrebbe dirsi archiviata e tanti saluti a tutti gli altri denti appuntiti
(compresi Edward e Bella, ma in questo caso non ci saremmo persi un gran che).
La trama
in sintesi. L’archeologo Franz Schiller (nome che forse richiama, per assonanza
Schliemann) scopre che il famoso anello dei nibelunghi si troverebbe in
Transilvania; informa del fatto il fratello Karl e – dopo aver ricevuto da
questi un amuleto che tiene lontane le forze del male, parte in direzione del
luogo che ospita il castello in cui è custodito l’ambito reperto. Una volta in
loco, Franz si scontra con la superstizione e la scoperta ostilità della
popolazione e delle autorità del luogo, ben consapevoli ovviamente della natura
demoniaca di coloro che nella magione dimorano. Nell’unica notte che il
malcapitato (interpretato da Mark Damon) trascorre nella locanda del paese c’è
però il tempo di invaghirsi (ricambiato) per la bella figlia dell’oste (Francesca
Romana Davila) la quale – forse – spera di essere deflorata in tempi brevi –
vista la brutta consuetudine per cui le vergini tendono a scomparire in una
determinata notte di luna piena dell’anno (ma questa speranza è solo una mia
supposizione e non è esplicitata).
Rosalba Neri - anche più sotto |
Una
volta al castello, Franz (che si è dimenticato l’amuleto alla locanda, scettico
com’è) viene accolto dalla spettrale domestica (Esmeralda Barros) e – in
seguito – dalla fascinosa contessa De Vries (Rosalba Neri) che non ci metterà
poi tanto ad affascinare lo studioso e a vampirizzarlo. Peraltro dichiarandosi
anche vedova del conte Dracula. Nel frattempo si avvicina la notte di
plenilunio in cui è fissato il sacrificio rituale delle vergini e tutto andrebbe
per il meglio se non fosse per l’intervento di Karl, preoccupato per il
fratello e tempestivamente recatosi nei Carpazi. Per farla breve: il nuovo
arrivato recupera l’amuleto e riesce a sventare i diabolici piani della
contessa. Salvo compiere una fatale ingenuità nel finale e scoprire che
l’apparente mentecatto che si fa vedere ogni tanto nella nebbia, in prossimità
del castello è un soggetto ben più significativo di quel che poteva sembrare.
Come
detto non è tanto la trama a dare fascino al film ma tutto il contorno. In
primis Rosalba Neri nel ruolo della vampira (ispirata chiaramente alla contessa
Bathory) è splendida e statuaria. La promiscuità sessuale del personaggio (si
intrattiene anche con la governante, infatti) la guida nell’azzeccatissima
commistione di sesso e psichedelia che condurrà alla vampirizzazione del povero
Franz, in quella che è indubbiamente la scena più memorabile della pellicola e
che dimostra – se qualcuno ne sentisse il bisogno – come le pellicole italiane
dell’epoca sapessero supplire a limiti di budget e a sceneggiature un tantino
improvvisate a colpi di inventiva e con trovate che il tempo non ha affatto
privato del loro fascino o della loro capacità di stupire.
Ottima è
poi anche la scena del sacrificio delle vergini – anche se qui la povertà di
mezzi si vede, riesce comunque a funzionare, specie per la bizzarria di uno dei
vampiri - veramente inquietante e che
rimane parecchio impresso (interpretato – forse – da Ciro Papa – ma onestamente
non saprei).
Apprezzabile
anche il finale, adeguatamente spiazzante e ben gestito – anche se poi a ben
vedere, a livello di sceneggiatura, lo sbaglio compiuto dal protagonista (cioè:
affidare l’amuleto al fratello morto, ritenendosi, evidentemente, ormai fuori
pericolo) appare un’ingenuità giustificabile solo con parecchia benevolenza.
Da
segnalare che il film è in larga parte girato presso il castello di Balsorano,
in Abruzzo. Direttore della fotografia era Aristide Massaccesi. Il regista
Batzella usò vari pseudonimi nella sua carriera – i suoi film più noti
probabilmente sono “Nude per satana” (sempre a nome Paolo Solvay) e i nazi
erotici “Kaput Lager – gli ultimi giorni delle SS” e – in particolare – “La
bestia in calore” [diretti entrambi come Ivan Kathansky)[1].
IL
MAGNANI dice: 6/7
[1] Secondo
Rosalba Neri parlando di Solvay/Batzella : “Sembrava che fossero due insieme,
uno che andava da una parte e uno dall’altra…e raramente si incontravano ”. Da “99 Donne” ,pag.171. edizioni media
word, a cura di Davide Pulici e Manlio Gomarasca, 1999.
Libro molto raccomandato a tutti gli interessati alle attrici del cinema italiano
degli anni che furono.