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giovedì 31 gennaio 2013

IREZUMI, LO SPIRITO DEL TATUAGGIO (tit. or. :Sekka Tomurai Zashi)/Yoichi Takabayashi - 1981

Nell’ambito delle perversioni e/o parafilie che dir si voglia la pratica del tatuaggio raramente viene acclusa.
Ma ,come pare ovvio, qualsiasi attività può assumere caratteri che la pongano al bivio tra arte e “devianza” di natura sessuale. Basti pensare al bondage, ovvero l’arte del legare le persone, pratica che in Giappone (ma non solo, come risulta da alcuni casi di cronaca in cui, anche in Italia, il gioco si è spinto troppo avanti) ha numerosi estimatori (tra i quali citiamo almeno Masami Akita, meglio noto per la sua produzione musicale nell’ambito del noise più estremo col nome di Merzbow), e per la quale il confine tra sesso, ritualità e body art può definirsi alquanto sfumato se non proprio inesistente (ma certamente, se vi capitasse di visionare qualche video sull’argomento, è l’aspetto rituale, quasi “tecnicistico”, a prevalere – siamo ben lontani dallo spirito ludico che animava le illustrazioni di Eric Stanton o la serie a fumetti “La  Bionda” di Franco Saudelli).
Sempre al confine tra misticismo e body art si può situare l’arte del tatuaggio (Irezumi -  刺青 –in giapponese, da cui il titolo del film). 


Con  in più una componente sessuale da sempre implicita -  ma che il regista Takabayashi riesce ad esprimere in modo originale ed elegantissimo. È appena il caso di notare che i tatuaggi di cui si parla hanno le proprie radici in un’arte antica e che poco o nulla hanno ha che vedere con la totale mercificazione di cui – nell’epoca attuale – sono fatti oggetto. Però – dopotutto – qualcosa di quel misterioso connubio di dolore e piacere, un residuo del sacrificio di sé allo scopo di farsi “arte vivente” rimane ancor ‘oggi.  Questo per quanto i risultati – all’atto pratico – siano spesso insignificanti.
La pellicola di cui si tratta racconta di Akane (Masayo Utsunomiya), giovane e bella amante (nonché segretaria) di un uomo d’affari – Fuijeda – del quale è perdutamente innamorata. Ci sono dei problemi però: intanto lui ha anche un’altra donna – più anziana – e soprattutto è in fissa coi tatuaggi. Per lasciare l’altra e stare definitivamente con Akane questa dovrà accettare di farsi tatuare -  e non da uno qualunque, bensì dal maestro Kiogoro (Taiji Toniyama)che vive a Kyoto e ha accettato di tatuarla benchè ormai da anni non pratichi più la sua arte.
Il maestro vive con la figlia(in realtà adottiva) e un giovane assistente e, nell’accetare di tatuare Akane , l’avverte comunque che il procedimento sarà doloroso e l’impegnerà per diversi mesi. Già dalla prima seduta apprendiamo una peculiarità del metodo di questo tatuatore: l’assistente, infatti, non ha solo la funzione tautologica  di assistere ma ha un ruolo attivo, che – volendo – potremmo definire “antidolorifico”. Il ragazzo – di nome Harutsune – ha infatti il compito – una volta denudato il suo corpo interamente tatuato – di penetrare (e non con un ago, sia chiaro) la giovane Akane, con molta tranquillità e senza partecipazione , in modo da distrarla dal dolore – o meglio: in modo da consentirle di sublimare il dolore in desiderio e quindi in piacere sessuale. La sofferenza in realtà – ed i partecipanti a questa cerimonia ne sono certo consapevoli – non viene mai veramente meno – solo appare mutare la sua forma – ed ogni sua parvenza distruttiva si converte in forza creat(iva)rice. Trovare un parallelo col parto non sarebbe poi azzardato. Ed in effetti – nella filosofia del tatuatore Kiogoro – l’irezumi è quasi una nuova forma di vita, o forse meglio sarebbe dire un simbionte: un atto artistico vivente che ha necessità assoluta di un corpo ospite e che vivrà fintanto che avrà vita il suo portatore. Il tatuaggio, più che raccontare chi lo porta , lo ridefinisce :diviene una sorta di organo aggiuntivo (esterno, ovviamente) – un organo scelto ma che forse – in un certo senso – ci sceglie.



Col tempo però Akane inizia a provare un piacere sempre più intenso: un piacere che, implicitamente, ricollega al dolore del tatuarsi – dolore non più temuto ma anzi cercato come dimostra la scena del piccolo tatuaggio sotto l’ascella, dipinto (o scolpito – forse sarebbe meglio dire) a mo’ di saluto finale. Col procedere delle operazioni anche il rapporto con Harutsune si fa più profondo – lasciando l’attempato amante Fuijeda sullo sfondo come una figura inevitabilmente destinata a sfocare, come qualcuno che non può veramente capire la profondità dell’esperienza che altre persone hanno vissuto.
Nel procedere della narrazione veniamo a scoprire qual è l’effettivo legame tra Kiogoro e il suo assistente. Un tragico vincolo – ignoto agli stessi protagonisti – che, una volta venuto alla luce, condurrà Harutsune al suicidio (e nel dirlo non rivelo nulla del finale: il film si apre proprio con un flash forward che rivela la morte del giovane – con tanto di sangue a bagnare la neve – ennesimo ed estremante effimero atto artistico/ segno sulla pelle - terra). 





L’opera di Takabayashi procede spesso per balzi temporali; tuttavia lo fa in modo sempre elegante e nel contesto – dovuto tanto al montaggio quanto ad una splendida ed algida fotografia – di un complessivo “raggelamento” delle emozioni. Un film che fa del distacco e della freddezza un suo preciso modus narrativo e che ,proprio in virtù di ciò , rende la passione rappresentata tanto più bruciante e dolorosa. Come se si sentisse sulla pelle.

 
Nelle foto immagini dal film e poster sia dall'edizione giapponese




                                                       sia da quelle francese ed olandese



IL MAGNANI dice: 9  





giovedì 3 gennaio 2013

RADIO BOIA FREQUENCIES/ Drum n'bass memories (parte 1)


A metà anni '90 - ricorderete se c'eravate - si parlava continuamente di drum n'bass. Anzi per i primi tempi si preferiva usare il termine Jungle: forse a rimarcarne gli aspetti ossessivi e tribaleggianti. Poi - non saprei bene dire il perchè - si è preferito il termine "neutro" drum n'bass - atto a dare semplicemente menzione di un aspetto tecnico prevalente ossia il prevalere di aspetti fortemente ritmici caratterizzati da bassi (parecchio profondi) e percussioni. Nei suoi anni di maggior diffusione (semplificando: dal 1995 al 2000) il d'n'b ha avuto varie ramificazioni e diversificazioni stilistiche. Si è passati da pezzi riempipista a produzioni assai più cerebrali, da contaminazioni pop a ritorni undeground, dall'attività di produttori che usavano la jungle integrandola in un discorso più ampio a puristi del mezzo che però andavano incamminandosi lungo vie - per così dire - progressive. Non mi interessa qui ripercorrere la storia del genere ma solo andare a riascoltare qualche pezzo che - questa storia - ha contribuito a forgiarla.

Goldie ha fatto indubbiamente parte di una scena di precursori - ma  -già dal 1995 con l'album "Timeless" - ha spinto l'acceleratore verso la metamorfosi della jungle in una sorta di soul moderno. In grado come pochi di catturare lo spirito dei tempi; nel secondo "Saturnzreturn" si lascerà prendere la mano da ambizioni forse eccessive ("mother" per esempio dura 60 minuti) dando corpo comunque ad un lavoro di indubbio fascino.

Roni Size è stato certamente uno dei protagonisti del drum n'bass nel suo farsi - anche se solo per pochissimo - perno centrale della musica pop. Artefice di un primo album raffinatissimo ("New Forms, 1997) - in grado di alternare felicimente languori soul a pulsioni sperimentali facendosi sempre irresistibile sotto un profilo ritmico. Il secondo album ("In the mode",1999) pecca decisamente di eccessi di grandeur , quasi ci si trovasse di fronte ad un "capolavoro programmato", in realtà affollato da troppi ospiti e con pochi pezzi davvero potenti. 
Tra primo e secondo album Roni ci infila anche il progetto Brackbeat Era esempio di come il drum n'bass si poneva all'interno del corpo pop: gene mutante pronto a cambiarne le generalità. Purtroppo, malgrado l'ottimo singolo ("Ultra obscene" che da il titolo all'album) il resto funziona abbastanza poco, dando l'impressione che la "jungle pop" non sia altro che un ripetersi di pezzi tutti sostanzialmente con la stessa struttura. Ricordo l'ascolto di quel disco tanto atteso come un'esperienza davvero monotono e deludente. E questo malgrado il fatto che i brani presi singolarmente funzionassero anche. In pratica era la dimensione dell'album ad essere sbagliata.
Decisamente più intellettuale e rigoroso Photek da vita (sempre nel 1997, stesso anno di "New Forms") a "Modus Operandi", assolutamente uno dei capolavori del genere (e uno degli album più importanti del decennio a parer mio). Pur muovendosi assolutamente all'interno della scena (a differenza di altri come Luke Vibert o Squarepusher che usano il drum n'bass in un contesto più ampio e solo come UNO dei suoni possibili) Photek tratteggia un lavoro oscuro, improntato all'introspezione e alla distopia. Già dal secondo album ("Solaris",2000) si muoverà in direzioni più eclettiche conservando sempre motivi d'interesse.
E chiudiamo questa - prima e volutamente incompleta - disamina con due veri e propri pezzi killer. Riempipista assoluti uscivano a nome Ganja Crew e Natural Born Chillerz.
ELENCO dei pezzi
Goldie - Inner city life / Roni Size reprazent - Heroes /Brackbeat era - Ultra obscene / 
Photek - Modus operandi  /Ganja Crew - super sharp shooter  / Natural Born Chillers - Rock the funky beats