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giovedì 17 gennaio 2019

An Unlikey Diary - Appunti Musicali

                                                 NEIL YOUNG - ALABAMA (1972)

La storia è invero sin troppo nota: questa canzone (insieme a 'Southern Man') nasce come duro ed istintivo atto d'accusa nei confronti di una parte della società sudista, laddove razzismo e discriminazioni razziali erano all'ordine del giorno (Ku klux Klan compreso). Ovviamente il pezzo si prestava ad essere equivocato tanto che i prime movers del rock sudista Lynyrd Skynird polemizzarono apertamente con Neil in un verso della celeberrima 'Sweet Home Alabama'. In realtà tra i vari musicisti coinvolti nella diatriba c'era apprezzamento reciproco (quindi si, alla fine:  'volemose bene'  - gli Skynird non volevano certo difendere il razzismo e Neil ammise che il suo pezzo poteva generare fraintendimenti). Rimane un atto d'accusa - impulsivo ma sacrosanto - che oggi va (purtroppo) ben oltre i confini del sud degli states. Rimane una canzone che ho sempre amato già ben prima di sapere di  cosa parlasse.

                                 IL TEATRO DEGLI ORRORI - A SANGUE FREDDO (2009)

Quando ascolto per la prima volta questo pezzo ne rimango affascinato e vado subito a cercare chi fosse Ken Saro Wiwa. Il brano parla di lui ma non solo - ne riprende anche i versi - divenendo un elogia della resistenza umana contro la violenza del potere e del denaro. Non ricordavo dove avessi già visto il cantante (Pierpaolo Capovilla) che mi colpì decisamente per il suo stile declamatorio e volutamente (già dal nome) teatrale. L'avevo visto (come altri del gruppo) nei One Dimesional Man ma poco importa perchè, in effetti,  è col teatro degli orrori che fanno - per così dire- 'lavoro di raccolta'. Si tratta (specialmente in riferimento al secondo album) di una sorta di compendio dell'indie rock (più tendente al noise) udito sino a quel momento nel belpaese - senza risparmiarsi ruvidità ma senza fughe sperimentali d'alcun tipo. Un disco anche conservatore (musicalmente parlando sia chiaro) e barricadero. Frutto di un sentire decisamente anni '90 su tutta la linea, politica compresa. Bellissimo dall'inizio alla fine.

                                                            PIXIES - DEBASER (1989)

Canzone che apre 'Doolittle' - decisamente il più bell'album dei Pixies. Non ho nulla da dire sull'importanza 'seminale' dei Pixies perché è un discorso che ha un po' rotto il cazzo e forse perché è un aspetto un tantino sopravalutato. Il punto è che di fronte a cotanta beltade espressa in poco più di tre minuti è un senso di compiutezza a prevalere - come a dire che più di così non si può ne si deve fare. Il suo bello, a volerlo dire a parole, sta nel far convivere gioiosamente concetti che potrebbero apparire antitetici - all'ascolto prevale a tratti un sentimento di dolce ruvidità a volte di ruvida dolcezza o di utile vacuità o di vacua utilità. Di sadico masochismo, di iperrealista surrealismo.

                                                   NICK DRAKE - PINK MOON (1972)

Le canzoni di Nick Drake nascondono certo un segreto - qualcosa di inesprimibile eppure completamente evidente. Dovendo ragionare per generi lo metteremmo indubbiamente a mezza via tra due categorie, comunque contigue, ossia quella del folk revival inglese e quella del cantautorato tout court (che comunque nel folk tende sempre ad avere solide basi), ma snocciolando nomi, dati e referenti stilistici non ci avviciniamo al posto in cui dobbiamo stare.
Il posto dove dobbiamo essere è un luogo in cui siamo tutti già stati ma non riusciamo a ricordarci - fin quando un suono, una voce, un colore, un dettaglio minimo non ci riportano esattamente li - senza che importi se nel frattempo sono passati pochi giorni o tutta una vita. La luna rosa sta arrivando - e ci prende tutti prima o poi.

                                                         TOOL - AENIMA (1996)

Attorno ai Tool si è riunito tanto ciarpame mentale: c'è infatti in giro gente prontissima a sbavare per qualsiasi cosa che gli ricordi 'il rock di una volta' nelle sue varie accezioni. Quindi se citiamo sentori di Pink Floyd o di King Crimson (che ci sono, in effetti) ecco orde di saputelli col cazzo in mano pronti all'ennessimo segone. Personalmente amo musiche di varie epoche senza fare grosse esclusioni . Quando ho ascoltato per la prima volta questo album (il secondo ma sarebbe il terzo se contiamo un ep dalla durata piuttosto corposa) non ho davvero avuto esigenza alcuna di rapportarmi al passato: l'ho trovato e lo trovo tuttora un disco che parla al presente. Le influenze ci sono com'è ovvio ma in realtà stanno perlopiù nell'ambito del metal più evoluto (adulto verrebbe da dire - e se parliamo di Voivod o Meshuggah allora d'accordo arriviamo anche ai Floyd , anche al prog) e il post core. In pratica i Tool prendono tantissimo da altri gruppi ma lo sanno digerire in maniera davvero personale. Un album che è anche un percorso spirituale, una crescita interiore non attraverso la fuga ma attraverso la lotta interiore. Un percorso non veramente pacificato ma nel quale è possibile trovare le armi per la propria salvezza. I Tool poi faranno altri album - anche belli - ma non si esprimeranno mai più a questi livelli. 

giovedì 10 gennaio 2019